Ted Neeley racconta a Rivista Musical! la sua esperienza come Jesus, dal film allo spettacolo, il rapporto con la gente, l’importanza della musica, e il suo incontro con Papa Francesco
di Ilaria Faraoni
In occasione del nuovo tour di Jesus Christ Superstar, diretto da Massimo Romeo Piparo, direttore artistico del Teatro Sistina di Roma (dove lo spettacolo rimarrà in scena fino a domenica 16 dicembre), abbiamo intervistato Mr. Ted Neeley, che ringraziamo per la grandissima disponibilità e gentilezza. Lo abbiamo incontrato nel suo camerino, qualche giorno dopo il suo incontro con Papa Francesco (leggere QUI)
Dopo Roma lo spettacolo sarà a Genova e, ancora, in tour in Europa https://www.jesuschristsuperstar.it/date/
Prima di leggere l’intervista, ecco il saluto di Mr. Ted Neeley ai lettori di Rivista Musical! A fine articolo l’audio originale dell’intervista.
Mr. Neeley, cosa l’ha portata, cinque anni fa, ad accettare di interpretare Jesus in una produzione italiana di Jesus Christ Superstar?
Il mio caro, meraviglioso amico Carl Anderson, che aveva preso parte al film, come me, interpretando Judas, era stato in precedenza in Italia e già mi aveva raccontato quanto tutto fosse magnifico, dicendomi che sarei dovuto venire. Poi Massimo Piparo, che ha allestito questo spettacolo, cui aveva preso parte anche Carl, mi chiamò e mi chiese di venire. Mi disse: «Ted, celebreremo il nostro ventesimo anniversario di questa produzione, ci piacerebbe che venissi e interpretassi Jesus per questa ricorrenza. Avremmo bisogno di te per sei settimane». Ed io pensai: «Sei settimane a Roma?Fantastico!»
Ora stiamo entrando nel sesto anno!
Guardandolo come se fosse uno spettatore esterno, com’era il suo Jesus nel film e com’è oggi, nello spettacolo?
Wow, grande domanda! Prima di tutto, quando facemmo il film, si trattava della mia prima esperienza cinematografica, perciò ero spaventato a morte anche solo di essere sul set: volevano che fingessi di essere Jesus nel primo film che avessi fatto in vita mia!
Ma è stata una paura iniziale e lo dico perché il nostro regista, Norman Jewison, uomo meraviglioso, si è preso cura di tutti noi come se fossimo la sua famiglia: non ha mai voluto fare questo film con nervosismo e ci ha fatto sentire come se fossimo allo stesso livello, perciò è stata una delle esperienze più confortevoli della mia vita.
Passammo tutto il tempo in Israele e fu una cosa incredibile! Mr. Jewison avrebbe potuto girare il film in qualsiasi altro deserto del mondo, ma volle che sentissimo l’essenza di Israele, facendo qualcosa che riguardava l’Israele di duemila anni prima.
Così la mia prima esperienza cinematografica fu incredibilmente meravigliosa; tutto ciò che la riguardava era fantastico: il cast, il gruppo, la band… chiunque fosse lì a lavorare con noi. Diventammo tutti una meravigliosa famiglia, in Israele, grazie a Norman Jewison.
Tornai a casa non sapendo cosa sarebbe accaduto dopo aver fatto quella magnifica esperienza, continuando con le produzioni live in tutta l’America e in Canada, tour dopo tour, per un periodo non stop di cinque anni. Non avevamo nessuna idea che lo show e il film avrebbero avuto così tanto successo… è stata una celebrazione ininterrotta di questa storia.
E il vero miracolo è questo: sono qui, dopo quarantacinque anni, a fare ancora questo magnifico show e ho solo trentatré anni! (ride, N.d.R.)
Ogni anno festeggio trentatré anni, ancora, ancora, ancora… (ride, N.d.R.)
Mentre ero in Israele incontrai una bellissima signora che è diventata poi mia moglie: era la ballerina principale, nel film; ci incontrammo sul set; oggi siamo ancora insieme, abbiamo creato una famiglia, abbiamo dei figli ed ora mia moglie e mia figlia Tessa sono entrambe qui con me a Roma.
Mi dispiace per la risposta così lunga ma non posso raccontare storie brevi, non posso! (ride, N.d.R.)
Amiamo le risposte lunghe!
Per tornare alla domanda, al raffronto tra il film e questo spettacolo, devo dire che quando arrivai nel 2014, in questa produzione del Sistina, il regista e produttore Massimo Piparo era nel foyer con tutto il suo gruppo; ci dette il benvenuto, camminò nella hall e si inginocchiò, mi prese le mani e disse: «Grazie Gesù, per esserti unito a noi!»
E l’ironia di tutto questo, onestamente, è che non sono Gesù, sono solo un “urlatore” e batterista che viene dal Texas, ma mi hanno detto: «Va bene per la parte!». Non avevo idea che sarebbe durata tanto: è l’esperienza più bella della mia vita.
Questa produzione, se non la migliore, è tra le migliori cui abbia mai preso parte, perché Massimo, l’art director, mi disse: «Sono il più grande fan al mondo del tuo film, quindi cercherò di rendere omaggio al film, nello spettacolo». Ed è stato esattamente quello che ha fatto. I costumi, le voci, il modo in cui appare ogni cosa, gli elementi visivi, sono semplicemente magnifici, altrimenti non saremmo stati qui per cinque anni. La gente continua a venire ed ormai conosco la maggior parte delle persone che torna a vedere lo spettacolo. È come farlo per la mia famiglia, ogni sera!
L’unico modo in cui potrei essere più felice di quanto lo sia ora, visto che mia moglie e mia figlia sono qui con me e mio figlio ci raggiungerà, è questo: ho fatto una richiesta, per il mio ultimo compleanno; vorrei essere in grado di fare questo spettacolo per altri duemila anni, e quando avrò la risposta sarò più felice. Perché no? Altri duemila anni… (ride,N.d.R.)
Lei è anche un musicista: cosa pensa della musica di Andrew Lloyd Webber?
Andrew Lloyd Webber e Tim Rice composero e presentarono questa produzione quando erano poco più che ventenni. Quando ero poco più che ventenne io ero appena in grado di scrivere il mio nome e allacciarmi le scarpe. Loro invece a quell’età hanno creato questo magnifico musical che non era il tipico musical teatrale: è stata la prima opera rock sulla scena. Tommy, degli Who, fu la prima opera rock, ma non nacque come spettacolo. Lo so perché l’ho interpretato. Quando vide il successo di Jesus Christ Superstar, Pete Townshend degli Who disse: «Devo provare a fare anch’io questa cosa».
Così, il punto è che quest’opera rock è stata scritta da due ragazzi poco più che ventenni. Webber e Rice volevano fare qualcosa di spirituale, come Hair. L’album di Jesus Christ Superstar ebbe così successo che il regista Norman Jewison lo ascoltò e disse: «Ne devo fare un film!» e scrisse la sceneggiatura, lo produsse; allo stesso modo Tom O’Horgan, disse: «Dobbiamo farne uno show di Broadway!». Così, Jesus Christ Superstar passò immediatamente dall’essere un album di grande successo, ad essere uno spettacolo di grande successo.
La musica, ogni sera, mi porta in un viaggio: un viaggio positivo e bellissimo, ogni volta nuovo.
Io sono molto, molto fortunato, onestamente, ad aver preso parte alle quattro Rock Operas: Tommy, il primo Hair, Sgt. Pepper e Jesus Christ Superstar.
E in questa fase della mia vita, sono ancora accettato dal pubblico, che vuole vedere Jesus Christ Superstar: è un miracolo! Non posso crederci! Camminare ancora sul palcoscenico come fosse la prima volta… i miei piedi non toccano il pavimento, mi sento come se galleggiassi, con questa musica… È meraviglioso. Non avrei mai pensato di fare un’esperienza del genere.
In un’intervista disse che desiderava tanto incontrare Papa Francesco e alla fine il sogno è diventato realtà. Voleva dirgli qualcosa in particolare? Papa Francesco ha visto il film? Com’è andato l’incontro della scorsa settimana e che emozione è stata?
C’è una meravigliosa storia circolare, che riguarda il Papa.
Quando debuttammo a Broadway, nel 1971, ogni sera eravamo contestati, senza alcuna violenza, ma c’era gente tutto intorno che bloccava la 51st Street. Non volevano che facessimo lo spettacolo, non volevano che il cast entrasse nell’edificio per recitare un “orribile musical religioso rock ‘n’roll”.
Dovevamo entrare senza ferire nessuno… quando chiedevo ad uno di questi manifestanti: «Hai visto il nostro spettacolo?», la risposta era «No!».
Così chiedevo: «Se non avete mai visto lo spettacolo, cos’è che non vi piace?». E loro immediatamente rispondevano: «Odiamo il titolo, Jesus Christ Superstar. È terribile!».
Badate, avrei voluto parlare con loro, ma avevo paura di dire qualcosa di sbagliato, nella rabbia, così domandai: «C’è qualcos’altro?». «Sì», risposero. «Abbiamo sentito che Gesù canta con una band rock. Gesù non cantava!». Ed io pensavo: «Eravate forse lì?».
Allora dissi: «Volete farmi un favore? Vi prego di entrare, stasera, come miei ospiti. Aspettatemi nel foyer, dopo lo spettacolo, e ditemi cosa non vi sarà piaciuto. Forse potremo parlarne». «Davvero faresti questo?». «Certo», risposi. «Vogliamo intrattenervi, non offendervi!».
Così quelli che ebbero abbastanza coraggio per varcare la soglia ed entrare in teatro per vedere lo spettacolo, quando alla fine si aprì la porta della hall esclamarono: «Amiamo il tuo spettacolo, è incredibile!»
Così le persone che protestavano contro di noi, divennero i nostri promoters, perché la televisione era lì ogni sera perseguire la protesta e loro avrebbero portato altri amici che l’avrebbero raccontato ad altri amici: così ci fecero promozione.
Norman Jewison sapeva che c’erano proteste da parte di tutte le fedi religiose ed era preoccupato, perché pensava che se anche solo i cattolici non avessero voluto il film, questo non avrebbe avuto successo.
Così fu organizzata un’udienza, chiedendo al Papa di allora, Paolo VI, di guardare il film con Mr. Jewison e di dare onestamente il suo parere, di dire cosa ne pensasse. Guardarono insieme il film in Vaticano, erano soltanto loro due e una volta terminato ci fu un gran silenzio.
Mr. Jewison mi disse che ebbe paura che il Papa gli dicesse qualcosa come: «Va’ via da qui, distruggi il film!», invece disse: «Mr. Jewison, amo il suo film, è bellissimo, perché racconta la storia attraverso la musica. Credo che abbia l’opportunità di portare alla cristianità molte più persone, nel mondo, di quanto qualunque altra cosa abbia mai fatto prima.
Quando abbiamo parlato a Papa Francesco, la scorsa settimana, c’era l’intero gruppo dello spettacolo. Quando si è avvicinato e lo abbiamo visto camminare verso di noi, abbiamo intonato “Hosanna” (un brano del musical, N.d.R.): gli è spuntato il sorriso mentre ci veniva incontro.
Avevo portato un programma dello spettacolo, firmato per lui, ringraziandolo per la sua partecipazione e benedizione…
Ancora una volta, ci ha benedetto per ciò che facciamo e ha detto: «Voi fate la stessa cosa che faccio io, facciamo la stessa cosa: diffondere amore tra le persone, in tutto il mondo».
Così è stata un’esperienza meravigliosa per me potergli dire «Hello!»… è una persona così dolce e gentile… certo: è il Papa! Certo: ha un ruolo per la realtà spirituale, ma allo stesso tempo è una persona così meravigliosa! Si è instaurato un feeling tra noi, guardandolo negli occhi mentre ci salutava ad uno ad uno; ci ha toccato… è notevole! Quindi, che benedizione, per noi, essere in grado di fare questo! Incredibile!
Secondo lei, oggi, il messaggio cristiano è recepito di più, dalle persone, attraverso i sacerdoti o attraverso l’arte, in uno spettacolo?
Beh, posso dire che facciamo una presentazione migliore. Cosa accadde quando Papa Paolo VI disse: «Questo è un bellissimo film, Mr. Jewison»? Dal momento in cui il Papa disse che amava Jesus Christ Superstar i cattolici, soprattutto in Europa, studiarono l’album originale e il film per insegnare ai bambini la storia di Gesù. Realizzarono che i bambini avrebbero potuto capire di più cantando le canzoni, l’essenza di Gesù; ascoltando, per esempio, “Hosanna” o sentendo Maria Maddalena cantare: «I don’t know how to love him». Immaginiamo dei bimbi, seduti con le loro madri, sentire questa signora che canta questi versi –
«Non so come amarlo» – con Gesù che si avvicina. I bambini chiedono: «Mamma, chi è questa signora che canta a Gesù?». E così, in famiglia, si comincia a raccontare la storia di Gesù, con i suoi elementi religiosi. I bambini imparano più facilmente attraverso la musica piuttosto che attraverso i predicatori, i sacerdoti o qualsiasi altra persona. Ecco perché, sia Papa Paolo VI allora, sia Papa Francesco oggi, sono stati d’accordo nell’amare questo progetto.
E un altro elemento meraviglioso che riguarda Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, che hanno collaborato a questo progetto, è la loro intenzione di guardare all’uomo chiamato Gesù di Nazareth, osservando la sua realtà umana attraverso gli occhi dei suoi contemporanei e dei suoi nemici. Il film e il nostro spettacolo arrivano fino alla crocifissione. Nessuno sapeva che Gesù fosse più di un uomo che parlava di pace, finché non è risorto. Quindi lui ha una connessione, un rapporto umano anche con i bambini… sicuramente tutti noi abbiamo quella connessione spirituale con lui.
Ho così tante famiglie che vengono a vedere lo spettacolo, tre o quattro generazioni all’interno della stessa famiglia. I nonni vengono con i figli e i nipoti e mi dicono: «Mr. Neeley, lei è il mio mito!».
E i bambini… L’esempio migliore che posso fare è questo: quando facemmo la prima produzione live successiva al film, a Boston, incontrai due famiglie. Una coppia aveva un figlio, l’altra aveva una figlia. I due ragazzi dovevano sposarsi. Era il 1973. Alcuni anni dopo, tornammo a Boston con lo spettacolo e mi arrivò un biglietto. C’era scritto: «Mr. Neeley, l’abbiamo incontrata insieme ai nostri genitori, prima di sposarci, ora ci piacerebbe che lei conoscesse la nostra prima figlia». Così, dopo lo spettacolo, uscii e c’erano i nonni, i genitori, e la bambina.
È una grande cosa questa, perché oggi, invece, alcuni ragazzi, perfino bambini, amano la musica trap… sesso… droghe…
È la natura della Bestia. Sfortunatamente è tutto così accessibile… non importa quanti anni tu abbia: se vuoi sparare, drogarti… è tutto accessibile, nelle strade; se desideri una cosa, hai il modo di trovarla.
Ma tornando alla famiglia di cui ti raccontavo: i nonni, i genitori e la bambina mi aspettavano nella hall. Sono arrivato… la bambina avrà avuto tre anni, al massimo quattro. Si nascondeva dietro la mamma.Così ho parlato prima ai nonni, poi al padre, per ultimo alla madre, mentre la bimba sbirciava intorno e mi guardava. La madre le disse: «Tesoro, non volevi dire qualcosa a Mr. Neeley? Ora è il momento buono!». Così me l’ha messa davanti, era vestita da piccola ballerina – che amore! – e mi disse: «Mr. Neeley, sei il mio Gesù!». Ed io: «Non sono Gesù, sono un batterista rock!», ma quella bambina aveva visto l’essenza spirituale nel film, e aveva creduto in quell’essenza. Perciò il Papa aveva ragione nel dire che la musica avrebbe portato molte più persone alla cristianità, di qualunque altra cosa.
Anche il nostro produttore e regista, Massimo Piparo e la moglie hanno una bambina. Quando l’ho incontrata per la prima volta aveva un anno, ora ne ha sei. Massimo l’ha portata qui tre giorni fa, prima non parlava, era un po’ timida, ora è venuta e mi ha detto «Hi, Ted!».
Sono molto, molto, molto, fortunato, molto fortunato!
Sito ufficiale di Mr. Ted Neeley: https://www.tedneeley.com/
Si ringrazia immensamente Federica Fresa, ufficio stampa del Teatro Sistina https://www.ilsistina.it/
Segue intervista audio integrale, per la quale ringraziamo di cuore Lamberto Stefanelli, assistente di Mr. Ted Neeley, che ci ha fatto da interprete. Per info su Stefanelli anche compositore, autore e scrittore: http://www.lambertostefanelli.com/