Martha Rossi ci racconta l’evoluzione della sua Wendy, l’esperienza in Oman, l’importanza della fantasia, la sua musica, i sacrifici, lo studio, la costanza. “Dopo We Will Rock You, Brian May dei Queen per me è come un papà”. Peter Pan? Un antidoto alla tristezza: “Che bel lavoro che faccio, sono fortunata!“.
di Ilaria Faraoni
Abbiamo intervistato Martha, che ringraziamo per la grandissima disponibilità, nell’ultimo giorno di repliche romane di Peter Pan, il musical al Teatro Sistina di Roma (18 aprile). Lo spettacolo di Maurizio Colombi, con le musiche di Edoardo Bennato, prodotto da Show Bees e New Step sarà ancora il 24 aprile al Teatro Cilea di Reggio Calabria e il 27 aprile al Teatro Rendano di Cosenza.
Martha, quando ci siamo salutate in teatro, il 9 aprile, una delle prime cose che mi hai detto è che tenevi tantissimo a tornare al Sistina: cosa rappresenta per te?
Penso che il Sistina, parlo a livello personale, sia il teatro più bello che abbiamo in Italia, non tanto per la costruzione o chissà cosa, ma per il clima e per l’ambiente. È un teatro storico; quando si entra si respira un’aria diversa da quella dei teatri moderni, dei tendoni che costruiscono adesso. Poi l’ho sempre visto un po’ come una seconda casa, anche quando abitavo a Roma. Faccio un esempio: oggi ho la convocazione alle 19:00, ma sarò lì verso le 13:30. È un po’ come se fosse davvero casa mia. Compro il pranzo, sto nel mio camerino, mi sistemo già i capelli per Wendy, mi preparo, poì faccio un giro per Roma…. Ho sempre avuto questa sensazione, fin dalla prima volta, come se ci fossi già stata. Quindi ogni volta è una cosa molto bella, arrivo prima proprio per godermi il teatro. Ne parlavo l’altro giorno anche con la costumista: al Sistina ho delle sensazioni particolari, mi sento veramente bene. Merito, come dicevo, anche del clima che si respira all’interno: le persone che ci lavorano sono veramente deliziose, ti fanno sentire come in una grande famiglia e le conosco tutte da anni.
Hai interpretato Wendy con tutti i Peter Pan della storia italiana di questo spettacolo: Manuel Frattini, Massimiliano Pironti, Giorgio Camandona ed ora Carlotta Sibilla. Com’è cambiata la tua interpretazione negli anni, sia in base al tuo percorso artistico, sia in base ai Peter che hai avuto accanto?
Questa è una bella domanda, perché il regista Maurizio Colombi ogni anno, ha cambiato un po’ il mio personaggio, sia perché naturalmente devo adattarmi al partner che ho accanto, sia perché vuole
comunque rinnovare qualcosa in ogni edizione. Abbiamo fatto insieme questo lavoro di crescita che mi ha portato, artisticamente, a non annoiarmi mai, perché ogni volta per me è diversa.
Il primo partner che ho avuto è stato Max, Massimiliano Pironti. Con lui ero molto ragazzina, una bambina di quelle un po’ iperattive, di conseguenza anche l’atteggiamento generale ed il modo di parlare erano molto da bimba. L’edizione successiva, in scena per due anni, è arrivata subito dopo We Will Rock You ed è stata quella con Manuel Frattini. Lì abbiamo completamente stravolto il personaggio. Ricordo che Wendy si muoveva con dei sottofondi musicali: ogni volta che mi spostavo, il Maestro Magnabosco faceva un suono, o un accompagnamento musicale, come se fossi una principessa, un po’ come nel film Come d’incanto. L’atteggiamento che aveva Wendy, nel rapportarsi a Manuel, che è molto più grande di Max, era un po’ più adulto; era più signorina e meno bambina. Il personaggio è cambiato proprio caratterialmente. Nella parte finale dello spettacolo, quando Wendy voleva tornare a casa, era molto più donna: in quella scena si riusciva a percepire la differenza tra lei e Peter.
Era molto intensa, quella scena…
Sì, era molto intensa. È cambiata molto. Peter era anche molto più cattivo nei confronti di Wendy, si innervosiva parecchio quando lei gli diceva di voler andare via, le rispondeva di non voler crescere, di non volere diverse cose. Si vedeva molto il distacco. Nell’edizione con Giorgio Camandona, Maurizio ha fatto un po’ un mix tra la Wendy di prima – la bambina – e la signorina, perché comunque Giorgio era, come dire, una via di mezzo: non era Max, ma non era Manuel, vuoi per età, vuoi per esperienza. Quindi abbiamo optato per una Wendy non troppo principessa, ma nemmeno troppo bambina.
Ora c’è Carlotta Sibilla, che ha sostituito Giorgio in corsa. Come dico sempre, la vedo un po’ come uno scugnizzo, salta di qua e di là, è molto maschiaccio e fa un Peter molto bimbo. Con Carlotta non ho potuto lavorare come con Giorgio, perché abbiamo avuto, appunto, questa sostituzione in corsa e ci siamo dovuti adattare alle persone che avevamo di fronte. Devo dirti che apprezzo la costanza di Carlotta: si impegna a fondo nelle cose, ci tiene veramente tanto; è una grande occasione per lei ed è bello anche che non sia assolutamente una prima donna. Lavora, studia, fa le sue cose. La Wendy che faccio con lei non assomiglia a nessuna delle precedenti, forse un po’ anche per esperienza, perché ormai sono più di dieci anni che interpreto questo ruolo e le cose sono cambiate. È una Wendy che è un po’ più consapevole; è anche un po’ Martha, diciamo così, perché ho preso un po’ del personaggio. È una Wendy diversa, che si adatta ad un Peter che non è più un uomo, ma una donna, e che cerca di tenere le redini di tutto lo spettacolo, perché poi tutto gira intorno alle scene con Wendy.
Avendo visto tutte le edizioni, ho notato i cambiamenti…
Sì, è cambiato proprio tutto. Anche Uncino non è più così cattivo come prima. Emiliano Geppetti è più burlone. L’Uncino di Pietro Pignatelli era molto cattivo. Emiliano, che è papà nella vita, vede tutto un po’ più in quest’ottica paterna; non riesci a trovare quel pizzico di cattiveria in più e questa cosa la si percepisce anche nei nostri confronti… Naturalmente stimo tantissimo Pietro: è bravissimo. Sono due personaggi diversi.
Sì. mi è sembrato che Emiliano Geppetti abbia voluto dare ad Uncino una sfumatura di insicurezza. Il suo Uncino è un insicuro che cerca di mascherare, senza riuscirci, questo suo lato con la cattiveria. Stesso discorso quando interpreta il padre dei ragazzi. Agenore cerca di mascherare l’insicurezza con l’autoritarismo.
Sì, il suo Uncino è un altro tipo di personaggio. Quanto a Wendy, il suo è sempre stato un personaggio molto forte nello spettacolo ma Maurizio, quando abbiamo parlato l’ultima volta, mi ha detto che in questa edizione è molto evidente il fatto che sia lei a collegare in maniera decisa tutte le scene e i personaggi: i Bimbi sperduti, Peter Pan, Trilly, Capitan Uncino, Spugna; questo perché Wendy è l’unico dei personaggi, quest’anno, che ha un carattere ben delineato. E se Uncino lo ricordavi in un modo e adesso lo vedi in un altro, se Peter Pan lo ricordavi in un modo ed ora lo vedi diverso, anche perché è interpretato da una donna, Wendy è l’unica che è rimasta e che, a spada tratta, tiene le redini dello spettacolo e unisce le varie scene.
Nel 2018 Peter Pan è approdato alla Royal Opera House di Muscat, in Oman… e lo spettacolo è stato fatto tutto in lingua inglese…
Sì, tutto in lingua inglese. Abbiamo fatto un grande lavoro, quasi due mesi di training con una persona madrelingua inglese che ci ha preparato. Quando ce l’hanno detto, mi sono un po’ preoccupata perché sono dislessica e faccio molta fatica ad imparare una nuova lingua. Con l’inglese ho avuto questo problema già nel corso degli anni, ma studiando tutti i giorni e avendo un buon ascolto, riuscivo a ripetere con un accento molto veritiero il copione. Sono rimasta molto contenta quando ho letto una recensione dello spettacolo dove una giornalista inglese, che era venuta a vedere lo spettacolo alla Royal Opera House di Muscat dall’Inghilterra, ha scritto che l’unica ad avere una pronuncia veramente londinese ero io. Per me è stata un grande soddisfazione, mi sono messa a piangere, perché sono anni che lotto con il problema della dislessia.
Negli anni mi ha creato tanti problemi anche a teatro, perché quando c’è da fare le letture copione, mi emoziono e non riesco a leggere. Spero sempre che mi mandino il copione tre giorni prima, così imparo tutto a memoria e non ho più bisogno di leggere; per questo ho una memoria di ferro! Ho scoperto tardi di essere dislessica: quando ero piccola non riuscivano a capire come mai andassi bene a scuola, ma non riuscissi a leggere. Per questo, con l’inglese, è stata una soddisfazione enorme ed ora parlo pure un buon inglese. Certo, dopo due mesi di training, tutti i giorni… A volte era una cosa veramente ossessiva, giravamo con il copione in mano e le canzoni. Sai, dopo dieci anni che facevo Peter Pan in italiano, cambiare tutto in un’altra lingua non è stato facile. Poi la comicità inglese è diversa da quella italiana, bisognava anche capire come dire la battuta. Ma è stato un lavoro molto bello.
Ci sono stati cambiamenti o è stata fatta una traduzione fedele?
È stata fatta una traduzione fedele, è cambiata soltanto qualcosa in alcune scene, a livello di regia. E poi eravamo in tantissimi; le luci e l’attrezzatura che avevamo erano il doppio di quelle che usiamo in Italia, se non il triplo, perché la Royal Opera House è enorme. Sono state delle repliche veramente stupende che ricorderò per tutta la vita. È stata un’esperienza unica, in un teatro meraviglioso, con persone meravigliose!
Prendiamo spunto da alcuni brani dello spettacolo. “Fantasia” è per me uno dei più suggestivi e significativi. Tu scrivi anche canzoni. Se potessi aggiungere dei versi, cosa scriveresti sulla fantasia?
Sulla fantasia… dico sempre che dovremmo prendere spunto dai bambini. Se potessimo recuperare quell’innocenza che porta a immaginare cose meravigliose, la vita degli adulti sarebbe molto più bella. Noi dimentichiamo di sognare e di immaginare come fanno i bambini; dovremmo avere quella ingenuità che ti porta a non avere vergogna, a fregartene di tutto, a fare quello che ti piace, a sorridere: secondo me vivremmo tutti molto meglio!
Rimanendo un po’ su questo tema: quando il pubblico grida con Peter Pan “Io credo alle fate!” penso che ognuno dia un significato personale alla frase, in quel momento. Anche tu griderai da dietro le quinte, immagino. Qual è il tuo personale “Io credo alle fate“?
Certo, lo urliamo tutti, dietro le quinte! Mah… cambia, secondo me, da sera a sera, se devo essere sincera. Ed anche se magari un giorno sei triste, quando fai uno spettacolo come Peter Pan, non puoi esserlo sostanzialmente. Qualsiasi tipo di personaggio tu interpreti, in questo musical, quando vedi il pubblico che si alza, che urla, che ride, scherza, non puoi essere triste. Quando arriva quella giornata storta, che capita naturalmente a tutti, la cosa che mi viene sempre da pensare è: “Che bel lavoro che faccio, sono fortunata!”. Quindi: “Io credo alle fate!”.
Peter Pan dice che per volare bastano un pizzico di polvere di fata e pensieri felici…
Sì, bastano dei pensieri felici. Secondo me è proprio questa la forza di Peter Pan, al di là del fatto che sia uno spettacolo con una storia, con le canzoni di Bennato che conosciamo tutti; negli anni abbiamo avuto performers straordinari che hanno interpretato il ruolo, ma la forza principale, secondo me, è il messaggio positivo che arriva. È per questo che Peter Pan è sempre una macchina da guerra. È diventato un cult del musical italiano, un po’ come Grease. Fa parte di quegli spettacoli che puoi rifare sempre e faranno ogni volta il pienone, perché l’immagine che arriva è positiva e la gente ha bisogno di staccare completamente, per un po’, dalla vita reale, dai problemi e dire: “Sai che c’è? Stasera vado a vedere Peter Pan e a urlare Io credo alle fate!”. È come se fosse una sorta di terapia, in questo mondo dove tutti vanno dallo psicologo.
Uncino è ossessionato dal tempo che passa e “Nel covo dei pirati” Wendy canta delle parole significative: “Non vedi? Il tempo corre e non lo puoi fermare, diventi grande e ti vogliono cambiare”. O meglio… col tempo la frase è stata cambiata in “diventi vecchio”…
Sì, adesso è diventata “diventi vecchio”, perché Maurizio voleva un cambiamento forte con quel “vecchio”; è una parola che spaventa gli adulti. E Uncino è terrorizzato da questa cosa.
È un pezzo importante della canzone perché è proprio così, per me: ad ogni età corrisponde, secondo la società, un’aspettativa, perciò quel “ti vogliono cambiare” è molto vero. L’hai sperimentato su di te?
Certo, la gente vuole sempre cambiarti! Ho scritto un post l’altro giorno e ho pensato: “Tanto la gente avrà sempre da ridire”. C’è sempre un giudizio che, ad un certo punto della nostra vita, dobbiamo affrontare. Siamo abituati a farlo fin da bambini: siamo giudicati dai nostri compagni che ci prendono in giro, per esempio.
La gente cerca sempre di cambiare il tuo modo di vestire, il tuo modo di parlare. Sta, secondo me, alla personalità del singolo avere il coraggio di dire: “Io così mi piaccio e non voglio cambiare!”.
A me è capitato tante volte. Poi avendo fatto un programma televisivo, Amici, mi son trovata con tantissime persone che mi amavano e tantissime altre che non mi amavano. Mi sono chiesta: “Cosa voglio far arrivare alla gente? La mia vera personalità, o qualcosa che non esiste?” Allora mi son detta di voler essere me stessa, perché chi porta una maschera, alla fine, non va da nessuna parte. Sono una persona che dice sempre la sua, anche nella vita, e rimango così. Fu un consiglio che mi diede anche Maria De Filippi, ai tempi di Amici. Mi disse: “Marta, capisco che il tuo sia un personaggio forte, sei una donna con gli attributi che dice sempre la sua e penso che questo, anche se inizialmente può non essere capito – perché magari viene capito di più chi piange o sta zitto – a lungo andare ti premierà, perché sei te stessa”.
Ho preso quel consiglio alla lettera e in Peter Pan non c’è proprio nessuno che mi voglia cambiare. Credimi: quest’anno ho avuto anche altre proposte lavorative, ma ho deciso di rifare Peter Pan perché il gruppo che abbiamo è meraviglioso. Ci tengo tantissimo a dirlo, perché è difficile trovare un gruppo così unito!
Certo, è bello quand’è così.
Non abbiamo avuto neanche un problema. Di solito ogni volta c’è qualcosa che non va… Magari una persona che vuole apparire un po’ di più, o ci sono liti perché qualcuno accusa un altro di avergli rubato la battuta, di essergli entrato sopra… cose da attori. Quest’anno non è mai successo niente del genere, neanche lontanamente. Anche i macchinisti, i tecnici, ci hanno detto di essere felici di venire a lavorare, perché sanno già che non avranno alcun tipo di problema con gli attori: questa è una cosa bellissima.
Quando dovevo iniziare a lavorare con Manuel (Frattini, NdR) non lo conoscevo, ma mi avevano spiegato che era un attore importante. Avevo paura, ma con lui non ho mai avuto neanche un problema: stranamente l’ho avuto con persone, anche più giovani, che non avevano la sua stessa carriera. Non parlo di Giorgio; con Giorgio ho avuto abbastanza feeling… ma Manuel mi stupì molto, perché lui è un attore di un certo livello, ha un certo tipo di carriera e potrebbe permettersi di imporsi… Pensa che mi son trovata in anni dove, sul palco, il mio microfono veniva abbassato, perché non doveva essere il più alto. Manuel invece mi diceva di fare come volevo, anzi: mi invitava a metterlo più alto. “Ho bisogno di sentire anche la tua voce”, mi diceva. Con lui si lavorava per il bene dello spettacolo e questa è una cosa di Manuel che apprezzo tantissimo, lui lo sa.
Sì, ho avuto modo di notare, nel corso degli anni, che è una persona che spesso, pur di non mettere in difficoltà altri, lascia cadere su di sé responsabilità che non ha.
Sì, sì, te lo posso confermare. Io avevo 19 anni, ero terrorizzata, ero molto acerba anche attorialmente, ma Manuel è sempre stato attento a quello di cui avevo bisogno. Anche a livello di danza, mi ha sempre aiutato. Ho una foto magnifica appesa a casa, che ritrae il finale di Viva la mamma: Manuel mi faceva girare come una trottola ed io sembravo una super ballerina, perché lui era così bravo a portarmi che io sembravo pazzesca. Ma era lui che era bravo!
E poi è carismatico. Riuscì, nella scena della fata, quando il pubblico deve gridare “Io credo alle fate”, a far alzare tutto il pubblico dell’Arena di Verona in un minuto! Eravamo tutti sconvolti! Ancora lo ricordo. Manuel, prima dello spettacolo pensava: “Chissà cosa succederà, qui?”. C’erano tre palchi all’Arena di Verona: uno centrale, gigante, e due ai lati. Non so come abbia fatto, in meno di un minuto, correndo, a passare da una parte all’altra e a far alzare tutta l’Arena. Io ero con la costumista, Francesca Grossi; ci guardammo dicendo: “È incredibile! Meno male che si preoccupava!”.
Continuando sull’onda delle canzoni, visto che sei anche una cantautrice, parliamone: “Sono solo canzonette”?
No, io direi che non sono solo canzonette! Dopo tutti questi anni, posso confermarlo e, a maggior ragione dopo l’esperienza in Oman, posso dire che sono grandi canzoni che, anche in lingua inglese, hanno attirato e coinvolto il pubblico.
Martha cantautrice: ho letto un tuo post di pochi giorni fa nel quale hai scritto che un incontro con Laura Pausini e Biagio Antonacci ti ha fatto venire l’ispirazione per scrivere nuove canzoni. Sei già al lavoro?
Laura si ricordava di me da Amici. L’ho incontrata in studio di registrazione, lei aveva un’intervista con Biagio, per il tour che stanno facendo. Sai, io sono tutta euforica, ma quando c’è da fare alcune cose sono di una timidezza imbarazzante! Sono andata a chiederle una foto senza dirle: “Ciao, ti ricordi di me? Sono Martha, quella che ha fatto Amici”. No, non mi piace fare così. Invece lei mi ha guardato e mi ha detto: “Ma io ti conosco, sei Martha, eri la mia preferita ad Amici!”. Così abbiamo parlato, mi ha abbracciato… Io ero commossa, in lacrime, perché sono cresciuta con le canzoni di Laura Pausini. Mi ha detto che mi ha seguita e sa quello che faccio.
Poi ho ascoltato l’intervista sua e di Biagio. Hanno raccontato che non si sono mai arresi anche nei momenti in cui tutti solitamente mollano. Hanno continuato imperterriti a credere nel proprio sogno e questo, dicevano, li ha aiutati tantissimo. La cosa mi ha colpito tanto, perché da un grande artista non ti aspetti un momento di debolezza. Sono arrivata a casa e ho sentito che dovevo scrivere, così ho buttato giù alcune canzoni: erano mesi che non scrivevo così bene, mi sono meravigliata. Poi sai, magari sono canzoni che non canti per te e dai ad altri artisti, da cantautrice la cosa bella è anche questa. Quel giorno ho lasciato veramente un pezzo di me, perché sono riuscita sbloccare qualcosa che mi teneva ferma da diversi mesi. È stato molto bello.
Parliamo di “Distante” , il tuo singolo del 2017. È un pezzo molto bello ed è particolare anche il video. Com’è nata l’idea per la storia?
Ho parlato con il regista e lui mi ha proposto due versioni. Ha voluto capire che tipo di persona fossi, cosa mi piacesse fare, come io viva l’amore, in generale. Ha capito che sono un tipo che le tenta tutte, come dice la canzone: “Mi farò strada con il cuore di chi non si arrende mai”. Perché nella vita, dice il brano, “si può rimediare quasi sempre”. E quel “quasi” non esiste. È come dire che si può sempre rimediare, che se ti impegni, qualcosa può cambiare. Così abbiamo pensato ad un amore che fa di tutto per l’altro. Lei si crea addirittura un Avatar per salvare la persona che ama. Lui è rimasto intrappolato su un nuovo pianeta e, pur di riportarlo a casa, lei è disposta a dare la propria vita. Poi si salva, ma era sul punto di morire. E l’idea di un amore molto forte, che di questi tempi non esiste: sono tutti passeggeri. Oggi due persone si vedono, il giorno dopo sono già fidanzate e il giorno dopo ancora si sono già lasciate! Un amore forte come quello che vedo nella mia famiglia, al giorno d’oggi non c’è più e volevo riportarlo in vita. Con Distante ci siamo riusciti. Siamo rimasti in tendenza su Youtube per due settimane, abbiamo avuto 400 mila visualizzazioni; siamo stati molto felici di aver fatto un lavoro così bello!
Voglio ricordare anche il tuo album “Musica sarà”, che è stato presentato niente meno che da Brian May dei Queen!
Eh… sai che ancora mi sento con Brian? Ogni volta che viene in Italia, lo incontro. L’avrò visto almeno una quindicina di volte, da quando ho finito lo spettacolo We Will Rock You. L’ultima volta è stata a giugno, quando i Queen sono venuti in Italia con il concerto insieme ad Adam Lambert. Con Brian ho un bellissimo rapporto: è un po’ un padre, per me. Devo dire che in casi come questi capisci la grandezza delle persone, quando l’artista si toglie le vesti dell’artista ed è semplicemente la persona, una persona che ti dà consigli, umana… e lui è proprio così, è un papà, lo è sempre stato per me. Prima di We will rock you mi vide su Youtube e mi fece scrivere una e-mail da una sua amica italiana, facendomi i complimenti per una cover dei Queen che avevo fatto. Per me sembrava incredibile, credevo fosse una bufala, poi quando l’ho conosciuto ho capito che era tutto vero. Sono passati tanti anni, però devo dire che delle piccole soddisfazioni me le sono prese. Sono sempre stata una fan dei Queen, sono cresciuta con la loro musica e mi sembra quasi incredibile: ho conosciuto Brian May, parlo con Brian May!
Che ti stima e ha creduto in te…
Ragazzi, io ho l’età della figlia! Quando ho fatto la protagonista di We Will Rock You avrò avuto 22 o 23 anni. Ero molto giovane. Avevo fatto Peter Pan l’anno prima. Adesso, di solito, i nuovi performers non sono più così giovani, fanno le scuole, le accademie ed escono da lì che magari hanno anche 25/26 anni. Io a quell’età avevo già alle spalle due musical da protagonista, la mia scuola è stata il palco.
Sei stata mai discriminata, o hai incontrato difficoltà, nella tua carriera, per aver fatto Amici? O, nell’ambiente discografico, per aver fatto musical?
Ti dico una cosa… quando sono uscita da Amici i miei colleghi – fammi aggiungere ignoranti – che avevano fatto il programma con me, non tutti naturalmente – hanno detto: “Che sfigata, andrà a fare musical!”. Tra l’altro parlavano di un musical nazionale come Peter Pan di Edoardo Bennato, quindi così tanto sfigata direi che non ero. Ma ci rimasi veramente molto male, piangevo. Chi faceva musical, per loro, non poteva avere una carriera discografica importante. Ma io pensai: “A me piace fare teatro, è una cosa nuova, sono portata, ballo, recito, Bennato mi vuole… perché non farlo?”. Ho investito su questa cosa. Così, mentre io facevo teatro, gli altri continuavano a fare le loro seratine, ma le serate prima o poi finiscono, non possono durare in eterno, perché l’anno successivo al tuo, usciranno nuovi ragazzi di Amici e se non fai altre cose per rinnovarti, verranno chiamati i cantanti del momento. È così che funziona: chiamano l’artista di punta che si vede in televisione.
Dopo qualche anno, quando io continuavo a lavorare in teatro e loro non venivano più chiamati – alcuni avevano cambiato proprio lavoro, altri, ricchi di famiglia, no, ma solo per quello – mi hanno detto: “Hai fatto bene, ti abbiamo preso in giro, ma hai fatto la scelta migliore perché lavori, adesso hai una stabilità; dovremmo fare musical anche noi”. Ho risposto a chi mi faceva discorsi del genere: “Ti sbagli, non è un lavoro che possono fare tutti! Come per tutti i lavori, bisogna studiare, migliorarsi. Hai sbagliato a giudicare dal principio, non è qualcosa che puoi metterti a fare all’improvviso pensando che il musical lo possano fare tutti”. Io vorrei far vedere loro tutti i sacrifici, le giornate in cui non mi venivano dei passi di danza passate a piangere, a ripetere, a migliorare il corpo, la muscolatura… È veramente dura anche stare attenti all’alimentazione, fare alcune rinunce perché poi se ingrassi non va bene per fare la tale presa… sono cose che ti cambiano tutta la vita!
Dico sempre una cosa ai miei colleghi performers, ogni volta che qualcuno mi dice: “Eh, perché tu hai fatto televisione… ”. Sì, le persone mi conoscono soprattutto perché ho fatto un programma televisivo molto importante, che è Amici, ed anche se sono passati dieci anni, la gente si ricorda di me per quello. Poi c’è chi viene a vedermi in teatro e ama vedere Martha che fa Wendy, che è diventato un po’ un cult, dopo tutti questi anni. Ma se vuoi diventare famoso, non fai teatro. Non siamo a Broadway: in Italia con il musical non si diventa famosi. Se vuoi essere tanto “importante”, se vuoi la persona che si strappa i capelli sotto il palco per te, vai a fare televisione. Il musical è un lavoro di gruppo. Se vuoi essere prima donna, nel musical, non riuscirai mai, perché il musical è un gioco d squadra, lo spettacolo non è di un singolo, è di tutti! Poi ci può essere un performer che è più bravo di un altro, che ha delle doti migliori e il pubblico lo nota, ma lo spettatore va a vedere lo spettacolo, non va a vedere il singolo: è diverso.
Mi hanno dato della sfigata quando ho deciso di fare musical. C’è un’ignoranza generale. Dall’altra parte molti performer che non hanno una carriera discografica o non hanno fatto televisione, non capiscono che quel voler apparire, cozza con il lavoro che stanno facendo.
Dall’altra parte, ho avuto anche le mie soddisfazioni, come dicevo, perché “la ragazza che faceva musical”, la seconda scelta, secondo il modo di pensare dei miei compagni di Amici, alla fine ha avuto un album prodotto da Brian May, chitarrista dei Queen: quindi non mi sembra di essere così tanto sfigata neanche discograficamente. E come vedi, anno dopo anno, tiro fuori delle cosine che comunque vano bene.
Da Laura Pausini ai Queen, ai grandi compositori anni Trenta, come Irving Berlin e Cole Porter… penso allo spettacolo che hai fatto, “Cheek to cheek”…
È stato uno spettacolo molto bello per me, con Gianluca Sambataro, un direttore di coro molto conosciuto, un musicista bravissimo. Siamo stati al Blue Note di Milano ed è andata benissimo, è stata una grande soddisfazione anche quella. Abbiamo preso spunto dallo spettacolo di Lady Gaga e Tony Bennett, aggiungendo alcune cose…
Purtroppo l’ho perso, ma ho letto una recensione entusiastica che Lucio Leone ha scritto per la nostra testata, Central Palc (leggere QUI)
Sì, Lucio Leone ha visto la versione al Blue Note, dove non abbiamo potuto recitare tanto, ma è stata una bella esperienza perché, per un cantante, è un locale storico! Poi abbiamo fatto lo stesso spettacolo al Teatro NO’HMA di Milano, che è molto, molto bello e raffinato, adattissimo al tipo di spettacolo. In quella occasione abbiamo aggiunto tutte le scene recitate che mancavano al Blue Note. La gente era entusiasta, infatti devo dire che stiamo pensando di riprenderlo e magari portarlo in qualche teatro più piccolo, perché lo spettacolo merita.
Ti sei avvicinata a quel tipo di musica in occasione dello spettacolo o lo swing era già parte di te?
No, lo swing non era parte di me, io sono molto più pop/rock, che è poi quello che hai sentito con i Queen. Lo swing era un qualcosa di nuovo per me, però quando mi hanno proposto la cosa sono stata entusiasta. Ho volutointraprendere questa eserienza anche perché sono un’amante della voce e della musica di Lady Gaga, che trovo molto affine vocalmente a quello che faccio; ogni volta che esce una sua canzone tendo sempre a impararla perché è nel mio range vocale. Fare swing è stata una sfida, per me. Culturalmente sono cresciuta, perché ho studiato canzoni che mai avrei pensato di fare. Poi ci ho messo anche del mio, inserendo della musica italiana. Proporre i grandi della musica italiana come Tenco ed Endrigo e riportarli in chiave swing, con una voce femminile, al Blue Note di Milano, è una cosa insolita, ma secondo me è molto bella perché si fa sempre swing con musica straniera e invece si può farlo tranquillamente anche con la nostra musica: noi abbiamo canzoni stupende! Nello spettacolo, questa parte, la facevamo piano e voce, Gianluca ed io.
Hai un canale Youtube dove sei molto attiva: non solo pubblichi i tuoi brani o le cover, ma spazi anche con tutorial artistici o di bellezza…
Faccio un po’ di tutto in realtà, dipende da cosa mi va di far vedere quel determinato giorno. Mi piace che le persone che mi seguono, mi diano anche dei consigli, che mi scrivano quali tutorial vogliano vedere. I backstage che faccio per il teatro, per esempio, sono molto seguiti. Penso sia molto bello, perché le persone non vedono mai quello che accade dietro le quinte. Adesso, in occasione di queste repliche romane di Peter Pan, ho costretto tutti i miei colleghi, e veramente li ho costretti, a fare dei video personali da inviarmi, dove fanno vedere le loro cose, i loro scherzi, quello che vogliono. Ogni giorno arrivo in teatro e chiedo: “Ragazzi, avete fatto i video?” e loro hanno il terrore di questa cosa! (Ride, NdR)
Poi monterò un video generale per la chiusura di Peter Pan e sarà molto, molto toccante, secondo me. Per me poi questo è l’ultimo anno di Peter Pan. Dopo l’esperienza in Oman me l’hanno riproposto ed ci ho pensato molto: “Accetto o non accetto, accetto o non accetto?”. Poi ho accettato perché, come dicevo, mi trovo molto bene con questa produzione, la adoro! Adoro Maurizio Colombi, Gianmario Longoni e tutto quello che gira intorno alla Show Bees. Mi trovo davvero bene, però è arrivato il momento per me di cambiare, penso di aver dato tanto a questo personaggio. Manuel ed io credo che saremo sempre un po’ il Peter Pan e la Wendy per eccellenza, perché lui lo ha interpretato per tantissimi anni e lo stesso vale per me.
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