Quando il Cirque du Soleil approda a Broadway: PIPPIN
di Nicole Mistroni
Riportare un classico del musical a Broadway, si sa, non è mestiere per tutti. I vecchi spettacoli hanno spesso ritmi diversi da quelli attuali, talvolta risultano più statici, altre volte troppo frammentari. Spesso le tematiche trattate risultano datate o, al contrario, il confronto con la produzione originale diviene difficile da reggere.
Con tutti questi ostacoli ha dovuto fare i conti la regista Diane Paulus (già nominata al Tony Award 2009 come miglior regista per il revival del musical Hair), che si è trovata a portare sul palco del Music Box Theatre il musical originariamente diretto niente meno che da Bob Fosse: PIPPIN. E i Tony Award 2013, che hanno riconosciuto al musical i premi per la Miglior regia e il Miglior Musical Revival, cantano in coro “Prova superata!”.
La storia di PIPPIN è in realtà squisitamente semplice e narra il percorso del giovane Principe Pippin (Matthew James Thomas) alla ricerca della felicità e della realizzazione personale. “I want to do something completely fulfilling!” sentiremo dire dal protagonista almeno una cinquantina di volte durante la rappresentazione. Il viaggio alla ricerca del proprio “Corner of the Sky”, porterà il giovane Principe a rivestire prima il ruolo di soldato, scoprendo tuttavia che la guerra non è esattamente quell’arte di cui suo padre, il Re Charlemagne, gli aveva parlato. Successivamente Pippin cercherà di fare qualcosa di nobile uccidendo il padre, Re tirannico, per succedergli al trono e dare un buon sovrano al proprio popolo; per realizzare solo una volta diventato Re, quanto quel compito così delicato sia troppo difficile da eseguire nel modo giusto. Fuggendo dal proprio regno e dalle proprie responsabilità Pippin si troverà a diventare infine un semplice contadino, riuscendo, tra incertezze e paure, a capire solo sul finale che la vera felicità può talvolta significare condurre un’esistenza tra le più umili, se essa viene riempita d’amore.
Ciò che rende spettacolare questo percorso di ricerca personale, abbastanza frammentario ed episodico nella sua struttura, è però tutto ciò che vi sta intorno: PIPPIN si presenta infatti come “uno spettacolo nello spettacolo”, in apertura del quale la leading player (Patina Miller) chiede al pubblico di unirsi alla sua compagnia circense per scoprire la storia di Pippin, un nuovo attore che regalerà un numero sensazionale allo spettacolo. L’intera vicenda si svolgerà quindi all’interno di un tendone da circo che costituisce la scenografia fissa del musical e ne definisce complementi e oggetti scenici. Proprio in quest’aspetto vediamo l’impronta di Diane Paulus, già regista nel 2012 di Amaluna – The 2012 Cirque du Soleil Touring Show, poiché ogni numero musicale di Pippin verrà appunto accompagnato da un numero circense tra i più straordinari, messi in scena da professionisti del settore, alcuni dei quali provenienti proprio dal celebre Cirque du Soleil. Ed ecco allora apparire in scena trapezisti, acrobati e contorsionisti che compongono l’ensemble dello spettacolo e che, mentre scendono una ripida scala camminando sulle mani, o volteggiano in aria appesi a un filo, cantano sulle musiche originali di Stephen Schwartz (Children of Eden, My Fairytale, Wicked).
La spettacolarizzazione di ogni numero si dimostra sin dal principio il cavallo di battaglia di questo nuovo Pippin, che si apre con la sfavillante “Magic to do” in cui la stessa Patina Miller (Sister Act), contornata dal suo ensemble, canta come se niente fosse seduta su di un trapezio che la solleva a mezz’aria e la fa volteggiare sopra le nostre teste. Circo e Musical si compenetrano così nella maniera più riuscita esaltando l’uno i punti forti dell’altro, sia dal punto di vista musicale e canoro, che da quello coreografico. Quest’ultimo è senz’altro il risultato di una collaborazione vincente tra Chet Walker (già co-coreografo di Fosse e performer nella produzione originale di Pippin) e Gypsy Snider (co-fondatrice della compagnia circense “Les 7 doigts de la main”). Il coreografo ha infatti saputo mantenere intatta l’idea delle coreografie originali di Bob Fosse, riprendendone in parte lo stile inconfondibile (si veda ad esempio l’inizio della canzone “Simple Joys” in cui leading player e due ballerini eseguono una breve coreografia in pieno stile Fosse) e amalgamando perfettamente i pezzi danzati agli spettacolari numeri circensi ideati da Gypsy Snider.
Ma non sono solo gli elementi acrobatici del circo a comparire sulla scena del Music Box Theatre: durante tutto lo spettacolo assistiamo a veri e propri numeri di magia e di illusionismo. È questo il caso ad esempio del momento della morte del Re Charlemagne (Terrence Mann) in cui mentre l’ensemble annuncia l’ascesa al trono del Principe Pippin, nella canzone “Morning Glow”, la leading player fa levitare il lenzuolo sotto cui giace il corpo del Re, facendolo poi scomparire. Allo stesso modo l’illusione con cui Pippin fa successivamente resuscitare il padre (avendo capito che il ruolo di Re non gli si addice affatto) trapassandogli il torace e rimuovendo il pugnale con cui l’ha ucciso, risulta assolutamente stupefacente all’occhio dello spettatore.
Uno spettacolo nello spettacolo a tutti gli effetti quindi, questo Pippin che riesce a strabiliare il suo pubblico grazie ad acrobazie, magie….e un cast d’eccezione!
Come protagonista femminile troviamo la già citata Patina Miller, conosciuta al grande pubblico per aver originato il ruolo di Deloris Van Cartier nel Sister Act di Broadway, ad interpretare il ruolo del leading player che si presenta per la prima volta nella storia di PIPPIN in una veste femminile. Questa figura misteriosa, che potremmo identificare come a metà tra un narratore e un mastro burattinaio, è infatti sempre stata interpretata da attori maschili, pur non avendo una caratterizzazione che ne escludesse una rivisitazione femminile. Proprio per questo forse la regista Diane Paulus ha deciso di stravolgere gli schemi ed affidare il ruolo alla Miller, che con la sua voce squillante e la sua energia inesauribile ha saputo regalare un’interpretazione che le è valsa il Tony Award 2013 come miglior attrice protagonista. Essendo il leading player una figura che non partecipa alla vicenda, ma che la presenta, la narra e si pone appunto come “attore principale” nello spettacolo che fa da cornice alla storia del Principe Pippin, la recitazione della Miller è in alcune occasioni volutamente molto teatrale, proprio per l’esigenza di interpretare un personaggio, in tutti i sensi, fittizio e irreale. Ella tuttavia ne mostra nel finale la doppia faccia, con un’interpretazione toccante che colpisce lo spettatore nel profondo.
Nel ruolo del Principe Pippin troviamo invece Matthew James Thomas, inglese di nascita con numerose esperienze alle spalle nel West End di Londra, e protagonista alternate nella passata stagione del musical Spider-Man a Broadway. La sua interpretazione risulta assolutamente convincente sotto ogni aspetto: la recitazione è credibile e riesce a riprodurre ogni stato d’animo che il personaggio attraversa durante il suo percorso, così come la voce è precisa e fendente come una spada nel canto.
Il ruolo del Re Charlemagne, a tratti marginale ma incredibilmente godibile poiché creatore di tempi comici esilaranti, è stato invece affidato a Terrence Mann, attore che sin dall’inizio fa capire di essere in presenza di una vera e propria leggenda del musical: originale Bestia in Beauty and the Beast e originale Rum Tum Tugger in Cats a Broadway, il grande pubblico ricorderà il suo cespuglio di capelli nella sua celebre interpretazione dell’assistente coreografo Larry, a fianco di Michael Douglas, nella versione cinematografica del musical A Chorus Line. Come già detto, a Mann è stato affidato un ruolo che si fa riconoscere e ricordare soprattutto per la sua verve comica. Gli scambi di battute con il figlio Pippin e con la moglie Fastrada creano dei siparietti assolutamente godibili che costituiscono il lato più comico e spassoso dello spettacolo.
Al suo fianco troviamo il personaggio di Fastrada, bellissima, sexy, arrivista che trama alle spalle del Re Charlemagne per consegnare il trono a suo figlio. Ad interpretare la moglie di Terrence Mann sul palco è proprio colei che ricopre lo stesso ruolo nella vita reale: Charlotte D’Amboise, conosciuta per aver interpretato, tra gli altri, ruoli quali Cassie nel revival 2006 di Broadway di A Chorus Line, e Roxie Hart in Chicago. La chimica tra i due attori si avverte e si traduce in scena in una serie di scambi di battute azzeccatissime. La D’Amboise regala un’ottima interpretazione in particolare nella canzone “Spread a little sunshine”, che la vede protagonista e ne svela (o sarebbe meglio dire, conferma) doti canore e recitative.
La punta di diamante dello spettacolo, il suo fiore all’occhiello, la ciliegina sulla torta, è rappresentata però da Andrea Martin (Oklahoma!, Fiddler on the Roof) nei panni di Berthe, la nonna di Pippin. Ebbene, se la Martin volesse mai scrivere qualcosa riguardo la sua interpretazione in PIPPIN, credo che si intitolerebbe: “Ecco come si vince un Tony Award in dieci minuti”. Perché sono esattamente dieci i minuti in cui Andrea Martin compare sul palco, eppure senza dubbio, sono i dieci minuti che valgono il prezzo del biglietto. In una sola scena, in cui la nonna Berthe canta al Principe Pippin la celebre canzone “No time at all”, l’attrice non solo offre una performance divertente e toccante nello stesso tempo, ma a metà canzone sale su di un trapezio, scivola fino a trovarsi appesa solo per una gamba e continua a cantare a testa in giù il ritornello della canzone, che il pubblico canta insieme a lei grazie ad una proiezione sullo sfondo che suggerisce le parole a mò di karaoke. I dieci minuti che sono valsi all’attrice il Tony Award 2013 come Miglior Attrice Non Protagonista vengono quasi sempre seguiti da una lunga standing ovation, dalla quale il pubblico non riesce comprensibilmente ad astenersi.
Per completare il cast va menzionata infine Rachel Bay Jones (Hair, Women on the Verge of a Nervous Breakdown), che interpreta Catherine, la semplice contadina che mostrerà a Pippin la felicità di una vita semplice. La dolcezza della sua voce richiama quella del suo viso, che anche se accostato a quello del giovane Principe appare piuttosto maturo (questione che viene sollevata dalla stessa leading player nella sua prima scena – “Be good, you’re too old for this part!” – e che ci fa domandare se la battuta non sia stata aggiunta proprio per rispondere sarcasticamente a qualche critica) in un certo senso rispecchia proprio il significato del personaggio. Catherine è colei che per la prima volta fa conoscere a Pippin la vita reale, e lo farà sentire “trapped, but happy”, e Rachel Bay Jones proprio con la maturità che traspare dal suo volto e dalla sua interpretazione, riesce a conferire al personaggio quella capacità tutta femminile di nascondere una grande forza dietro ad un’apparente fragilità.
Oltre ad un cast così ben composto, ciò che rende la commistione tra Musical e Circo così vincente è proprio il fatto che gli stessi attori principali corrano i loro rischi e si cimentino in numeri circensi, dando prova di grande ecletticità e soprattutto di saper unire dentro di sé ogni aspetto dello spettacolo. Oltre a Patina Miller e Andrea Martin, le cui specialità si rivelano essere le acrobazie sul trapezio, assistiamo infatti anche al numero del lancio dei coltelli tra Terrence Mann e Charlotte D’Amboise, proprio mentre l’attrice canta “Spread a Little Sunshine”.
Il Broadway Revival di PIPPIN, vincitore di ben quattro Tony Award tra cui il premio come Miglior Musical Revival, offre al suo pubblico uno spettacolo da lasciare a bocca aperta, grazie soprattutto alle numerose innovazioni apportate rispetto alla versione originale. L’unica pecca che va sottolineata sta purtroppo nella natura frammentaria dello spettacolo, che lo fa talvolta percepire quasi come una serie di esibizioni una dietro l’altra e che non riesce sempre a toccare il cuore dello spettatore. Come detto in apertura, un classico del musical può portare con sé alcuni punti deboli che talvolta diventano difficili da rafforzare. In questo caso la struttura frammentaria ed episodica dello spettacolo può costituire, per una parte di pubblico, questo punto di debolezza, al quale si è cercato di riparare con la spettacolarizzazione di ogni numero musicale facendone una gioia per gli occhi e per le orecchie. Starà alla sensibilità dello spettatore venire toccata o meno dalla storia di PIPPIN, la quale in questa versione si conclude con un finale alternativo (che non sveleremo) che forse costituisce la trovata più emozionante e apprezzata dello spettacolo.