
MY FAVOURITE THINGS
di Ilaria Faraoni
Titolo: Once
Tratto dall’omonimo film del 2006 diretto da John Carney. Prima versione teatrale: aprile 2011 all’American Repertory Theatre di Cambridge. Lo spettacolo passò poi, a dicembre 2011, al New York Theatre Workshop; nella versione del 2012 al Bernard B. Jacobs Theatre di New York il musical è stato nominato ad 11 Tony Awards vincendone 8 – Musiche e liriche: Glen Hansard e Markéta Irglová – Libretto: Enda Walsh
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TRAMA
La storia vede l’incontro tra un cantautore irlandese, finito a lavorare come riparatore di aspirapolvere per una storia d’amore finita male ed una pianista della Repubblica Ceca. La ragazza, che ha una figlia, Ivanka, ed è separata dal marito, cerca di far avverare il sogno del ragazzo: intraprendere la carriera da musicista con la sua band e portare la propria musica a New York, dove si è trasferita l’ex ragazza. Tra i due nasce l’amore anche se…
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CURIOSITÀ
- I protagonisti non hanno nomi, ma sono indicati come Ragazzo e Ragazza.
- Nel film, i ruoli dei due ragazzi sono interpretati da Glen Hansard e Markéta Irglová, gli autori delle musiche e delle liriche.
- Il regista e sceneggiatore del film, John Carney, dal 1990 al 1993 aveva suonato il basso nella band di Glen Hansard, The Frames, tuttora esistente (anche se con diverse new entry rispetto alla formazione storica), perciò chiamò proprio lui a scrivere le musiche della pellicola.
N.B. Per leggere la presentazione e lo scopo della rubrica My Favourite Things cliccare QUI.
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Mauro, perché hai scelto di parlare di Once?
Perché, secondo me, ci sono dei musical che negli anni hanno segnato un cambiamento nel modo di fare regia, nella scrittura o nella composizione e Once è uno di quelli. Rent ad esempio ha segnato gli anni Novanta, subito dopo c’è stato Spring Awakening: pensiamo alla struttura registica di quest’ultimo. Un altro che secondo me ha segnato la storia del musical è Billy Elliot: c’è stato un lavoro di coreografia, musica e regia molto bello e accurato.
Quando ho visto Once mi sono detto: «Ecco una chiave di lettura ancora diversa».
(London opening night video)
Mi hanno colpito moltissimo l’ambientazione scenografica e l’utilizzo di musicisti che, oltre a suonare, facevano tutto: canto, danza e recitazione. Una cosa del genere si era già vista in Company o in Sunset Boulevard; in realtà in Once non mi ha colpito tanto il fatto che gli artisti suonassero, ma la creazione attuata nell’insieme.
Vidi casualmente il film: mi aveva colpito l’immagine della locandina. Tra l’altro andai al cinema da solo, è una cosa che faccio spesso, anche a teatro: mi godo di più il film o lo spettacolo, mi concentro maggiormente e riesco a farmi trasportare meglio dalla storia.
Già il film mi colpì; quando vidi che ne avevano tratto un musical mi dissi: «Devo assolutamente vederlo!».
A proposito di locandina: quella del musical è molto particolare: ha la scritta del titolo fatta con le corde della chitarra…
Infatti secondo me la genialità parte già dal logo, che colpisce.
Quando si arriva in teatro, poi, la cosa particolare è che durante la mezz’ora di ingresso, gli attori sono già sul palco e fanno una jam session di musica irlandese, quindi il pubblico è già coinvolto all’interno di quel mood. Il palcoscenico è come un bar irlandese: ci sono il bancone ed il classico pavimento a scacchi bianchi e rossi; alle spalle del bancone ci sono tanti specchi di vari tipi, tutti incorniciati e lampade da bar. Non c’è nient’altro.
Il pubblico può salire sul palco, prendere una birra, sedersi, ascoltare la musica accanto agli attori musicisti e ballare con loro, fin quando piano piano viene accompagnato in platea, mentre la musica continua ed uno degli attori canta l’ultima canzone, più intima. Man mano le luci si spengono e si entra nella storia. Arriva la ragazza, incontra il ragazzo e da lì parte tutta la vicenda.
Quindi da subito mi è piaciuto il modo in cui il pubblico viene accompagnato all’interno dell’atmosfera.
Parliamo delle musiche. Tra l’altro ho letto che il cantante che originariamente doveva interpretare il film e collaborare alla produzione, alla fine rifiutò, tra vari motivi, perché nelle canzoni c’erano numerosi cambi di ottava… Trovi che siano particolarmente difficili?
Non sapevo di questo episodio, ma posso dire che da quando è uscito Once, spesso i miei allievi della BSMT decidono di cantare Falling slowly o altri brani di questo musical. È normale che in un pezzo ci siano dei cambi di ottave o tonalità: non è un fattore che mi ha colpito particolarmente in Once. La cosa che mi ha colpito, delle musiche, è che si percepisce che sono state scritte da un cantautore e questo rispecchia esattamente ciò che succede nella storia. I brani non portano avanti la storia, come solitamente invece accade nel musical.
Anche nel film si nota molto questo aspetto?
Sì solo che quando vedi il film quasi non te ne accorgi. Sembra più una colonna sonora: a teatro colpisce maggiormente.
Falling Slowly ha vinto l’Oscar come miglior canzone… vogliamo parlarne?
Quel brano, secondo me, è la dichiarazione d’amore più bella: è dolcissimo ed è stupendo il modo in cui viene introdotto. Lei trova un pezzo di carta nella tasca di lui, sono nel negozio di strumenti musicali. La ragazza vuole suonarlo al pianoforte, lui si vergogna; lei inizia a suonarlo piano piano; poi si aggiunge il ragazzo con la chitarra:crescono insieme…
La cosa bella di Once è vedere come i due protagonisti riescano ad amarsi pur decidendo di non rimanere insieme. È devastante che alla fine la storia d’amore non finisca bene non perché uno dei due muoia o decida di lasciare l’altro: no. La storia termina perché entrambi comprendono che devono prendere strade diverse.
Quindi alla fine a trionfare è più l’amore per la musica che l’amore di coppia?
È un insieme di cose. Ad esempio è bellissimo che il ragazzo, che ha ricevuto un assegno dal padre, non utilizzi i soldi per sé, ma per comprare alla ragazza il pianoforte che ha sempre desiderato: nell’ultima scena lei si scioglie in lacrime perché trova il regalo; parallelamente, nell’appartamento di New York, il ragazzo canta la stessa canzone…
I due protagonisti non hanno nomi: sono identificati come Ragazzo e Ragazza. Per quale motivo, secondo te?
Non so è un po’ come accade in Febbre di Sarah Kane: i personaggi sono identificati come A, B… Mi è venuta in mente Sarah Kane perché c’è un monologo in Febbre che è una dedica d’amore stupenda.
Quando un autore scrive Ragazzo e Ragazza, A e B, Lui e Lei secondo me vuole lasciare un canale aperto perché chiunque possa immedesimarsi in quella vicenda e rivedersi in quella storia.
Mi dicevi che Once è un musical che secondo te segna la storia… approfondiamo il perché.
Sì, anche se non è stato compreso fino in fondo. Ma molto spesso le cose che rivoluzionano non vengono comprese immediatamente.
Faccio un esempio: parliamo delle luci. La cosa particolare è che non utilizzano motorizzati, ma solo luci tradizionali, quindi il palcoscenico è pieno di par e sagomatori, che evidenziano determinate sezioni del palcoscenico. I cambi di luce sono netti e cambiano l’atmosfera, il mood; gli attori, che nel frattempo suonano anche, spostano le sedie o i tavoli: sembra una coreografia. In realtà è una struttura registica ben pensata, precisa. Immediatamente si passa da un’ambientazione all’altra e secondo me, quando in teatro si riesce ad evocare un’ambientazione, un’atmosfera, un sentimento, un’idea, è in quel momento che si vince. Perché, lo dico sempre, il teatro è fatto di evocazione, il cinema di riviviscenza. In teatro basta un’immagine per poter ricordare qualcosa e far lavorare la mente del pubblico.
Concordo. Infatti alcuni hanno l’idea, a mio parere sbagliata, che per mettere su un bello spettacolo, soprattutto in campo musicale, si debbano avere per forza grandi budget per creare scenografie imponenti o realistiche…
Esatto, in realtà quello può essere il risultato finale. Ma una scena deve poter funzionare da sola anche soltanto con una sedia. Poi, se dopo ci si vogliono aggiungere anche una finestra e le pareti, va bene; ma prima di tutto deve funzionare con la sedia e basta.
Non per niente Once ha vinto ai Tony Awards non solo come miglior musical, miglior libretto e miglior attore protagonista, ma anche proprio per le luci, la scenografia, la regia, l’orchestra ed il suono. Altre trovate registiche che ti hanno colpito?
La mia preferita è quella della scena in cui il ragazzo e la ragazza vanno a vedere il mare. C’è il fratello di lei che torna da un colloquio di lavoro andato male. Entra, c’è un piccolo scambio di battute e si sdraia per terra, un po’ afflitto, mentre loro continuano a parlare. Il ragazzo e la ragazza decidono di andare al mare: escono dal bar, non li si vede salire ma il pubblico li ritrova poi sulla parte più alta degli specchi. In quel momento il palcoscenico diventa completamente buio, sono illuminati solo loro, lì in alto; tutta la zona bar si accende di tante stelline che sono anche sul corpo del fratello, che va a segnare lo skyline del porto. È come se si trattasse di quelle luci che si vedono in lontananza e che segnano le piccole collinette e così via… quando ho visto quella scena mi son detto che il regista e il light designer erano due geni. È solo un passaggio, in realtà non succede nulla, ma è una chicca.
Poi, per quanto riguarda la storia, c’è anche il rapporto bellissimo che la ragazza ha con la figlia, che svela successivamente al ragazzo.
È bello il modo in cui viene sviluppata tutta la trama. E mi fa molto ridere anche che lui diventi un riparatore di aspirapolvere: con tutti i mestieri che potevano scegliere, hanno pensato ad un riparatore di aspirapolvere!
Sì, come pure è divertente che il banchiere dal quale il ragazzo era andato a chiedere il prestito si riveli essere un musicista e si unisca alla causa…
Sì! E la cosa più divertente è che il banchiere inizia a cantare ed è stonatissimo!
Questa è la cosa bella di Once: che è anche molto divertente.
Secondo te è un musical che potrebbe essere portato in Italia?
Mi piacerebbe moltissimo e mi piacerebbe anche seguirne la regia. Quest’anno a fine tour di Cabaret mi sono fermato e ho deciso di tornare ad investire sulla regia, perché ho quasi quarant’anni ed anche se tutti mi dicono che sembro più giovane, gli anni passano. Devo tornare ad investire nel teatro, è un fuoco che arde dentro di me, è troppo forte. Ho voglia di condividere le mie idee, la creatività; voglio circondarmi di un team che abbia voglia di crescere e di creare con me. Il teatro è questo: è condivisione!
Ed è bello ritrovare questa passione e questa voglia di condividere in tanti spettacoli che girano nei circuiti off; a volte nelle grandi produzioni questa voglia e questa passione si percepiscono meno.
Sì, perché magari si pensa solo a far botteghino o a recuperare le spese, o a far sì che lo spettacolo funzioni. È giusto: il teatro deve vivere e per vivere ha bisogno anche di una parte economica, di gente che acquisti i biglietti, del business. Allo stesso tempo però bisogna istruire il pubblico in un certo modo, piano piano, inserendo delle pillole di una visione differente.
Sono d’accordo. Per chi voglia produrre è un grosso rischio, immagino.
Dipende da come si rischia: sono pugliese e, in questo senso, agisco da pugliese. In Puglia, quando si va al mercato, c’è la pratica del contrattare: se non contratti non ti senti soddisfatto. Devi saper vendere bene la merce e, dall’altro lato, devi saperla conquistare. Il venditore ed il compratore giocano due ruoli per arrivare alla formula giusta. E questo è il gioco: devi far credere di vendere qualcosa in un certo modo e nello stesso tempo inserire quel pizzico di innovazione. Non si può cambiare tutto subito; se lo fai ci sarà qualcuno che troverà lo spettacolo stupendo e qualcuno al quale non piacerà affatto. Se invece servi qualcosa in un modo più organico, il passaggio è meno drastico e quindi viene accolto con più facilità.
Per quanto riguarda un possibile allestimento di Once, secondo te in Italia sarebbe un problema trovare musicisti attori?
Questo sì, sarebbe un po’ difficile, non è da tutti. Penso che in Italia bisognerebbe rivedere un po’ la regia. Per questo dico che mi piacerebbe seguirla personalmente. Quando mi trovo a rileggere una regia di un lavoro già fatto, non mi accontento mai, trovo una chiave di lettura che rispetti il testo, perché la cosa fondamentale è rispettare la fonte; nello stesso tempo si deve trovare una lettura che aiuti il pubblico italiano.
Hai già le idee chiare?
Sì, ma su molte cose ho le idee chiare [ride, ndr].
Quindi sai già come allestiresti Once, in concreto?
Sì, sto aspettando solo un produttore che decida di investire.
Un altro musical che non vedo l’ora di andare a vedere a New York, perché me ne hanno parlato bene, è Fun Home, che ha una chiave di lettura ancora diversa: è un altro modo di fare spettacolo e musical. Anche lo stesso Next to normal è stato un titolo che ha rivoluzionato. Come dicevo all’inizio, ci sono degli spettacoli che riescono ad uscire dai soliti canoni.
…E che comunicano anche dei messaggi importanti. A me dà fastidio quell’aria di sufficienza quando si parla di musical o detesto risposte come «… ma è solo un musical!» quando tenti di approfondire.
Rispondo così: a marzo e ad aprile, quattromila bambini hanno visto gratuitamente Into the woods, con la mia regia. Il cast era composto da quattordici persone, la produzione era della BSMT che ha sponsorizzato anche il progetto. Abbiamo portato il primo atto nelle scuole elementari e medie. Sondheim è un compositore abbastanza complicato e si sa quanto sia difficile avere a che fare con ragazzi di quell’età, eppure erano incantati. Un bambino di 8 anni, alla fine dello spettacolo, si è avvicinato alla pianista e ha detto: «Questo spettacolo, senza una musica così bella, non sarebbe stato lo stesso». Un bambino riesce a capire questo concetto; se anche noi adulti avessimo meno pregiudizi e fossimo più aperti all’ascolto e a ricevere il nuovo, le cose sarebbero più semplici. A volte mi chiedono: «Perché ad un certo puto si canta?». La risposta è quella che diede Bob Fosse: nel momento in cui l’emozione diventa così grande, non può che essere raccontata e rappresentata al meglio attraverso la musica e le parole in musica.
Ed anche un film non musicale, ad esempio, senza la colonna sonora perderebbe moltissimo.
Certo, la stessa scena non funzionerebbe. Perché Morricone è riuscito a creare delle colonne sonore meravigliose? Perché è riuscito a seguire la volontà del regista, ha ascoltato la sensibilità di quella determinata pellicola…
Parlando di cinema: la versione teatrale di Once ti ha colpito di più rispetto a quella cinematografica?
Sì, secondo me il musical è riuscito a completare il film, come del resto è successo con Billy Elliot: il musical di Billy Elliot per me è più bello e più forte del film. L’ho visto nove volte (otto a Londra ed una a New York) ed ogni volta mi sono emozionato nello stesso identico modo e sono uscito in lacrime. Mi ha coinvolto totalmente, anche perché essendo stato anch’io un danzatore, so quanto sia difficile ottenere determinati risultati.
Facciamo qualche esempio: quali punti di Once trovi siano stati esaltati nel musical, rispetto alla pellicola?
Per esempio la scena con la canzone Falling Slowly, a partire da come si arriva all’atmosfera del brano, con quella luce calda, ambrata, che accompagna i due ragazzi. Si può sentire la vibrazione della chitarra… lo schermo cinematografico può creare una sorta di separazione. Poi il film aveva un girato quasi amatoriale, come quando si gira con la camera a mano…
Sì, infatti è stato girato non solo con la camera a mano, ma addirittura con il teleobiettivo per le scene in esterni, senza che la gente si accorgesse delle riprese Non per niente in Italia il film è stato distribuito dalla Sacher film di Nanni Moretti che ha girato i primissimi lavori in Super 8. A Moretti immagino sia piaciuto molto anche per questo aspetto.
Ecco, sai, a qualcuno potrebbe dare fastidio avere un’immagine che si muove sempre. Una ripresa di quel tipo può creare una sorta di separazione emozionale, un’interruzione; la cosa bella che sono riusciti a creare nel musical, invece, è proprio quel calore che accompagna meglio gli spettatori.
Un altro pregio è che il film ha un aspetto innovativo e nel musical sono riusciti a creare, con una chiave diversa, la stessa innovazione.
L’hai visto a Londra o a New York e con quale cast?
A Londra; lui era Declan Bennett: eccezionale! Chi l’ha visto a New York mi ha detto che il cast non era fantastico. Consideriamo, comunque, che alla fine a Londra, per portare un po’ di gente, hanno preso il cantante Ronan Keating e chi è andato a vederlo con lui non è rimasto molto colpito. Infatti secondo me Once è uno di quei musical in cui il cast è fondamentale. Essendo basato molto sull’attorialità, nel momento in cui si cambia il cast non è più lo stessa cosa.
Ecco, sono assolutamente d’accordo ma spesso non trovo riscontro nelle opinioni delle persone. Secondo me il cast è fondamentale. Non concepisco di andare a vedere un spettacolo senza sapere chi ci sia in scena, solo perché si tratta di quel determinato titolo. Come pure non riesco a pensare che uno spettacolo sia bello a prescindere, perché è quel titolo. Senza gli attori adeguati anche il miglior testo ed il miglior spettacolo muoiono.
Certo! E aggiungo: può anche esserci un attore fantastico diretto male. Infatti nel musical, molto spesso il pubblico appassionato o le persone dell’ambiente criticano subito l’attore. Invece secondo me dobbiamo ricordare una cosa: la responsabilità è anche del regista. Nella prosa, quando un attore non funziona, la critica non se la prende con lui, ma con il regista.
Soprattutto se quell’attore già lo conosci e sai che vale. Purtroppo se sei davanti ad un attore che vedi per la prima volta, diventa più difficile.
Sì, nel primo caso ti rendi conto di come lo stesso identico attore, diretto in modo sbagliato, possa dare dei risultati pessimi.
Vero, lo si nota anche al cinema o nelle fiction. Capita di vedere un attore in tanti ruoli diversi e non ne vieni mai colpito, finché lo vedi interpretare un ruolo che, vuoi per la regia, vuoi per la scrittura stessa del personaggio, lo fa esplodere. Ad ogni modo hai ragione: troppo spesso si valuta la regia solo per altri fattori.
Sì, per la scenografia, per l’insieme, per la struttura, ma mai per il lavoro sull’attore.
Anche se purtroppo bisognerebbe essere a conoscenza di come sia avvenuto l’allestimento spettacolo per spettacolo: quanto un personaggio sia frutto dell’attore che se l’è costruito e quanto delle indicazioni del regista; quanto il regista sia stato presente, quanto abbiano lavorato gli assistenti… Se non puoi conoscere tutti questi elementi è difficile valutare di chi siano meriti e colpe.
In effetti…
Comunque è molto importante che tu abbia puntato l’attenzione anche su questo aspetto, sia per gli addetti ai lavori, sia per il pubblico…
Sì, anche perché il regista ha una responsabilità fondamentale. Quando ho lavorato con lui, Saverio Marconi ha sempre detto: «Il mio scopo è quello di proteggervi e di proteggere lo spettacolo per arrivare alla messa in scena». Al debutto poi fa sempre un discorso: «Vi ho protetti fino a qui; ora siete voi che dovete proteggere lo spettacolo».