MY FAVOURITE THINGS
di Ilaria Faraoni
Titolo: Nine
Anno: 1982 – Debutto a Broadway: 46th Street Theatre.
Musiche e liriche: Maury Yeston – Tratto dal testo di Mario Fratti Six Passionate Women ispirato a 8 1/2 di Fellini – Libretto: Arthur Kopit – Coreografie: Thommie Walsh – Regia: Tommy Tune – Interpreti principali: Raul Julia, Karen Akers, Anita Morris, Shelly Burch, Camille Saviola, Kathi Moss, Taina Elg.
Nell’intervista si prende in considerazione anche l’omonimo film diretto da Rob Marshall – Anno: 2009 – Sceneggiatura: Michael Tolkin, Anthony Minghella – Adattamento dall’italiano: Mario Fratti – Prodotto da: Marc Platt, Harvey Weinstein, John DeLuca, Rob Marshall – Co-Produttori: Cattleya, Paul Edwards – Una Produzione Weinstein Brothers/Marc Platt/Lucamar, Relativity Media – Coreografie: John DeLuca, Rob Marshall – Coreografi associati: Joey Pizzi, Denise Faye, Tara Nicole Hughes – Fotografia: Dion Beebe, ASC, ACS – Scenografie: John Myhre – Costumi: Colleen Atwood – Direzione musicale: Paul Bogaev – Arrangiamenti: David Krane – Orchestrazioni: Doug Besterman – Musiche originali: Andrea Guerra – Interpreti principali: Daniel Day-Lewis, Penélope Cruz, Marion Cotillard, Sophia Loren, Nicole Kidman, Judi Dench, Kate Hudson, Fergie.
Si prende inoltre in considerazione 8 1/2 di Federico Fellini. Anno: 1963 – Soggetto: Federico Fellini, Ennio Flaiano – Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano, Brunello Rondi – Produttore: Angelo Rizzoli – Fotografia: Gianni Di Venanzo – Montaggio: Leo Catozzo – Musiche: Nino Rota – Scenografia e costumi: Piero Gherardi – Interpreti principali: Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Anouk Aimée, Sandra Milo, Barbara Steele, Edra (o Eddra) Gale.[divider]
TRAMA:
Il regista Guido Contini, in piena crisi creativa e personale, si accinge a dirigere il suo prossimo film senza avere la minima idea di un possibile soggetto. Intorno a lui un turbinio di donne: la moglie, l’amante, la madre morta, il ricordo di una prostituta conosciuta da bambino, la produttrice del film o, nella versione cinematografica, la fedele costumista. Guido dovrà fare i conti con i ricordi e le fantasie che affollano la sua mente per poter finalmente superare la crisi e crescere.[divider]
CURIOSITÀ:
- Il musical è intitolato Nine come ideale prosecuzione di 8 1/2, il film di Federico Fellini da cui prende le mosse.
- Fellini intitolò il suo film 8 1/2 perché seguiva, in ordine cronologico, i 6 film che aveva firmato come solo regista più Luci del varietà, diretto con Lattuada e gli episodi in L’amore in città e Boccaccio ’70, contati come mezzi film, per un totale di 7 1/2.
- Per il personaggio di Guido, Fellini si ispirò a se stesso: 8 e 1/2 nasce da una crisi creativa del regista che si trovò, proprio come il suo protagonista, con un film da girare e nessuna idea per il soggetto.
- Il finale di 8 1/2 era diverso da quello attuale, girato di notte, sul vagone ristorante di un treno. Lo documentano le immagini scattate da Gideon Bachmann (giornalista e reporter americano) e la sceneggiatura originale. Nulla rimane della sequenza. Sull’argomento esiste un film documentario di Mario Sesti: L’ultima sequenza. (fonte: libretto di Maurizio Porro e Mario Sesti pubblicato per la versione in dvd di 8 1/2 per la collana The Mediaset Collection – Cinema Forever).
N.B. Per leggere la presentazione e lo scopo della rubrica My Favourite Things cliccare QUI.
La biografia ufficiale di Simona Patitucci QUI[divider]
Simona, perché hai scelto di parlare di Nine?
Innanzitutto perché è uno dei primi spettacoli, se non il primo, che ho visto a Broadway; parlo della versione originale con Raul Julia: ero veramente una bambina. Poi perché è un ottimo esempio di trasposizione dal cinema al teatro, argomento che a me è molto caro. E ancora, perché… è Fellini!
Hai visto altre edizioni, nel tempo?
No. Però purtroppo ho visto il film, che non mi è piaciuto affatto.
Volevo giusto proporti un parallelo tra musical e film. Cosa non ti è piaciuto del film?
Può sembrare un paradosso, ma il motivo principale è che ho visto troppo 8 1/2 di Fellini in Nine. È stata fatta la trasposizione da un film ad un’opera teatrale e poi l’opera teatrale è stata trasferita nuovamente al cinema. Invece di mantenere l’impianto e la potenza di alcune suggestioni che erano state create per il teatro, hanno preso di sana pianta alcune scene del film di Fellini. Parlo per esempio della scena della sauna, del bagno turco, con le battute riprese esattamente.
Anche la scena di Contini in camera con l’amante…
Sì, stavo per citare anche quella. Il momento dell’incontro tra lui e l’amante nella pensione. Ma l’ha già fatto Fellini! Non si può rifare 8 1/2 camuffandolo da Nine. Non basta usare le canzoni del musical, se poi si utilizzano le stesse battute di 8 1/2: a mio parere è un autogoal. Le parti del film che mi dispiacciono meno, infatti, sono i numeri musicali, perché partono quasi tutti dal Teatro 5 di Cinecittà: mi piace quell’atmosfera.
Ricordo ancora quando andai a teatro, non avrò avuto ancora 10 anni; mi aspettavo scene e costumi come nei film della MGM dei tempi d’oro, invece trovai una scenografia essenziale, completamente bianca, con uno scalone lucido. I costumi erano tutti neri, ognuno naturalmente in tema con i diversi personaggi. Si creava così un effetto di contrasto tra la scenografia, che rifletteva anche le luci, e quei costumi.
Ricordo ancora, per esempio, la tuta pazzesca che indossava l’amante di Guido, interpretata da Anita Morris (video QUI e QUI): trasparente a ramages neri; i capelli dell’attrice erano rossi… Insomma: era veramente qualcosa di esaltante! Tutto ciò nel film non l’ho visto.
Nel tempo riuscii a trovare il CD di quella versione e devo ammettere che, ascoltandolo, ci si rende conto che erano tutti cantanti abbastanza scricchiolanti, le voci non erano eccelse, ma c’era una bellissima atmosfera: lo spettacolo era magico, molto felliniano, il film no. Ho tanto apprezzato Rob Marshall per Chicago, quanto ne sono rimasta delusa per Nine.
Tra l’altro leggo che il film è stato un flop al botteghino…
È stato un fiasco pesantissimo, anche perché era pieno di grandi stelle: un cast di premi Oscar.
Immagino sia anche costato parecchio.
Certo non avrà avuto un budget come quello di Guerre Stellari, ma si vede che è una produzione ricca. Purtroppo manca la sceneggiatura che, come dicevo, va a pescare un po’ troppo in quella di Fellini, non restituendone però le stesse atmosfere. Devo dire la verità: adoro Daniel Day-Lewis ma quando ho visto il film non sono riuscita a credere che fosse Guido Contini. Ho trovato tutto sopra le righe. Se qualcuno si azzarda a rifare 8 1/2 – perché questo hanno fatto, hanno rifatto il film di Fellini con l’aggiunta di canzoni – si mette purtroppo a rischio di paragone, ed il termine di paragone è inarrivabile. Nine secondo me non era un musical da portare al cinema perché, paradossalmente, pur venendo dal cinema, non si prestava alla trasposizione. Non mi ha emozionato, non mi ha esaltato, non mi ha dato nulla. Meglio allora andare a vedere Nine a teatro e guardare 8 1/2 in dvd.
Hai già parlato di scenografie e costumi: in quale altro modo lo spettacolo è riuscito a creare l’atmosfera felliniana?
Nello stile. All’epoca andava molto lo stile di Bob Fosse; quello di Nine era invece uno stile morbido nelle coreografie, opulento; trasudava sensualità e carnalità, non solo nei personaggi di Saraghina o dell’amante. Liliane La Fleur, il personaggio che nel film è interpretato da Judi Dench – straordinaria, per carità – nella versione teatrale non è la costumista, ma la produttrice, ed era stato scritto perché avevano a disposizione Liliane Montevecchi, che era stata per molti anni una vedette delle Folies Bergères. Le scrissero addosso il numero delle Folies Bergères che altrimenti avrebbe avuto poco senso.
Nel musical Liliane spiega di essere diventata una produttrice perché ha sposato un uomo ricco che le ha lasciato molto denaro e rievoca il suo passato artistico: nello spettacolo che ho visto partiva a questo punto un numero magnifico, rigorosamente in bianco e nero (il video QUI) e – anche se la Montevecchi non cantava in modo perfetto – c’era quell’atmosfera un po’ antica, un po’ retrò, in cui si sentiva lo stile di Fellini, si percepivano alcune suggestioni, così come avveniva, in certi casi, anche nei lavori di Bob Fosse, che non a caso trasse da Le notti di Cabiria il suo Sweet Charity.
Si sentiva, nello spettacolo, una carnalità, una verità, un essere mediterraneo, una dimensione onirica che nel film, un po’ troppo freddo, non ho trovato. Ad esempio il numero dell’amante, A call from the Vatican, nel film è tutto un “mi arrampico sulle corde”; in teatro lo interpretava, come dicevo, Anita Morris, che negli anni Ottanta era abbastanza nota: una perticona altissima, con quei capelli rossi e la tuta trasparente di cui parlavo prima… si contorceva come un pitone, ballava, si buttava a terra, si rovesciava: era un numero veramente sensuale.
Oppure parliamo di Saraghina: l’interprete che ho visto a Broadway (Kathi Moss) rispecchiava veramente il personaggio. Era un femminone, una donna ringhiosa, ferina: e infatti Fellini diceva che Saraghina doveva essere una fiera, una belva (video QUI e QUI). Fergie invece è finta, non credi che sia la prostituta che vive sulla spiaggia e che per soldi si fa guardare dai bambini.
Nel film ci sono tre canzoni aggiunte da Yeston stesso, il compositore originale: cosa ne pensi?
Le hanno aggiunte perché, per esempio, avevano una Kate Hudson ad interpretare il ruolo della giornalista, quindi le hanno scritto Cinema italiano. Se hai la Hudson, non puoi non darle un brano e cerchi di inserirlo in qualche modo. A mio parere sarebbe stato meglio non farlo: è inutile! Nel musical il suo personaggio, Stephanie Necrophorus, era molto cupo, dark: un personaggio alla Barbara Steele, che era un’attrice presente proprio in 8 1/2, sempre pallida, emaciata, con i capelli neri, un po’ cupa. Nel film la giornalista è diventata una “bamboccia” che si mette a ballare e cantare Cinema italiano.
Poi è stato dato un brano in più, Take it all, a Luisa, la moglie di Guido, che tra l’altro aveva già il pezzo più bello del musical, My husband makes movies, oltre a Be on your own. Non è un caso, secondo me, che la moglie abbia i brani migliori: il pubblico deve parteggiare per lei.
E il brano Guarda la Luna, cantato da Sophia Loren?
Anche in questo caso, secondo me, è valso il ragionamento: “Hai la Loren: non la fai cantare?”. E così hanno inserito una sorta di ninna nanna, che tra l’altro era già presente nel musical in versione strumentale. Utilizzare un tema che il pubblico ha già sentito in sottofondo, è un artificio che si usa spesso, ma ripeto: perché aggiungere il brano? Solo perché c’è Sophia Loren.
Per inserire i nuovi brani sono state eliminate diverse canzoni presenti nel musical…
Sì, per esempio il numero iniziale che era molto divertente, un ouverture che sfociava in The Germans at the Spa. Tutto ciò che era corale è stato tolto dal film, forse perché sarebbe diventato troppo lungo, ma hanno snaturato il musical!
Forse avranno pensato che il pubblico non gradisse…
Ma non è vero che il pubblico non gradisce: gradisce eccome ed ha premiato, per esempio – con incassi importantissimi in Italia – il film Hairspray che era fedele allo spettacolo e ne manteneva tutti i numeri corali. Anche in quel caso c’erano nomi noti come John Travolta, Zac Efron che andava per la maggiore in quel momento, Michelle Pfeiffer, Christopher Walken. Inoltre Hairspray ha avuto lo stesso percorso di Nine: è un esempio di musical teatrale tratto da un film – la pellicola di John Waters – che poi è tornato al mezzo cinematografico.
Un altro problema del film Nine: non ci sono attori italiani nei ruoli principali, ma solo in quelli minori, ad eccezione di Sophia Loren, che è considerata però un’attrice internazionale – proprietà del mondo – e quasi non viene sentita come un’attrice italiana. Sono tutti stranieri che fanno finta di essere italiani: questo evidentemente non paga.
Forse sono talmente noti che è ancora più strano identificarli come italiani?
Sì, non ci credi, non credi al personaggio, guardi solo l’attore. Non ti immedesimi nella storia, perché sono tutti conosciuti, forse è anche questo.
Saverio Marconi ha fatto una versione di Nine alle Folies Bergères e credo sia uno degli spettacoli che ama di più insieme a Cabaret. Purtroppo l’insuccesso del film credo renderà molto difficile proporre il musical da noi, eppure una versione teatrale italiana probabilmente funzionerebbe.
Torniamo alle musiche di Yeston. Come le trovi?
Le musiche sono divertenti, giuste, con una vena malinconica in alcuni brani che a me ha colpito sempre molto. Chiaramente lo show stopper (scena che strappa gli applausi, ndr), il brano che tutti ricordano, è Be Italian, perché è il “numerone”, con un tema semplice e ripetitivo che entra nelle orecchie però, come dicevo, preferisco di gran lunga i temi più malinconici, come quelli della moglie, oppure i pezzi che sono un sorta di scioglilingua, come il brano della presentazione di Guido. Mi piace molto, sempre parlando della versione teatrale, anche la canzone finale che vede insieme Guido adulto e Guido bambino. Poi cito nuovamente Folies Bergères, un altro show stopper.
Quella composta da Yeston è una colonna sonora funzionale, senza guizzi; a mio parere non ci sono brani che passeranno alla storia del musical, ma nel complesso Nine è uno “spettacolone”: ti lascia quelle due o tre canzoni che ti porti nel cuore e nel complesso si fa ascoltare. Yeston è un bravo professionista, non parliamo però certo di Sondheim o di Webber.
Nei brani corali si strizza l’occhio all’Opera e all’Operetta. La musica rispecchia la visione che può avere degli italiani un ebreo americano. Avrei preferito sentire un compositore italiano alle prese con uno spettacolo del genere.
Tra l’altro Yeston si confronta in qualche modo con Nino Rota, che ha composto la colonna sonora di 8 1/2.
Eh sì, ma non ci si può confrontare con Nino Rota, è impossibile e Yeston non ha commesso l’errore di cercare di imitarlo, non ho sentito plagi. Forse c’è una leggera suggestione nell’Ouverture delle donne: lì c’è proprio il bel canto, sembra quasi una cavatina rossiniana. Anche in The German at the Spa c’è un omaggio un po’ superficiale ad un certo tipo di Italia, fatto da qualcuno che però italiano non è. Ripeto: non stiamo parlando di un musical capolavoro ma è importante che sia stato fatto, proprio perché è tratto da un film come 8 1/2, che fa parte della storia del cinema a livello mondiale. È la dimostrazione che, avendo un po’ di coraggio, si può trasporre in teatro un buon film.
Tornando allo spettacolo, mi colpì molto l’importanza che veniva data alle donne: perché il plot – così come quello di 8 1/2 – è un viaggio all’interno della psiche di un uomo, un’analisi del peso che le donne hanno nella sua vita. Non a caso Guido è l’unico uomo in scena.
Poi c’è anche il tema della Chiesa
Certo, l’importanza del ruolo della Chiesa nell’educazione sentimentale e sessuale dei giovani, un tema presente anche in 8 1/2. Però trovo che il tema principale, come nel film, sia l’esplorazione dell’universo femminile attraverso tutti i suoi archetipi: la mamma, la prima donna che ti ha fatto girare la testa (Saraghina), la moglie, l’amante, la datrice di lavoro, la giornalista. Ci sono tutti gli archetipi della femminilità ed il rapporto che questi archetipi hanno con gli uomini: un rapporto che ancora oggi sarebbe importante esplorare. I temi dei film di Fellini non finiscono mai di stupirci. E all’epoca il musical vinse parecchi Tony Awards.
Come hanno risolto l’ultima scena in teatro, all’epoca?
La scena era abbastanza simile a quella del film. Guido rimaneva solo, in piena crisi, estraeva una pistola e arrivava un bambino – lui da piccolo – che gli cantava Getting Tall, la canzone del sottofinale, dicendogli che era ora di crescere, perché la vita è fatta così. E allora pian piano, come nel film – ma senza che lui le dirigesse – arrivavano tutte le donne della sua vita cantando a bocca chiusa l’Ouverture delle donne, poi un pezzetto di Be Italian e si finiva con lui che diceva: Cut! Print!
In un’altra canzone del resto Guido dice: «My body’s clearing forty as my mind is nearing ten» (Guido’s song). Il gioco è sempre quello dell’immaturità di Guido, dell’incapacità di prendere in mano la propria vita, dell’infedeltà, della paura della solitudine: non vuole mai stare solo, si circonda di tanta gente, di tante donne, proprio per questo. Ed il rapporto con la madre è ben diverso da quello che si vede nel film con la Loren: la madre è un personaggio – come pure tutti gli altri – che deve rimanere in qualche modo rarefatto; è marginale, è un ricordo. Non è una madre come l’ha fatta la Loren, alla Ciociara: non è una tigre, è una madre dimessa, probabilmente come poteva esserlo quella di Fellini; una piccola donna provinciale che non gli canta nessun tipo di ninna nanna alla Guarda la luna. Ecco, secondo me sono stati commessi non pochi errori nel film e infatti il botteghino parla da sé.
Tra l’altro Fellini aveva intitolato il film 8 e 1/2 contando i suoi precedenti lavori: per questo nella pellicola il protagonista, Guido, era tormentato dal produttore proprio per sapere come si sarebbe chiamato il film che dovevano girare. Nella versione cinematografica di Nine questo gioco di rimandi non c’è: Guido ha fin dall’inizio un titolo per il suo film.
Delle versioni recenti hai visto qualcosa, su youtube?
Solo qualcosa con Antonio Banderas e Jane Krakowski. Banderas vocalmente è anche più bravo di Raul Julia, però purtroppo il ricordo va sempre a Marcello Mastroianni e scatta il paragone. A parte gli scherzi, Banderas era comunque molto più giusto di Daniel Day-Lewis (il video di Guido’s Song QUI)
Parli di Mastroianni: forse alcuni ruoli sono talmente legati ad un determinato attore che li ha interpretati per primo e al meglio, che li ha creati, che sarà sempre arduo il paragone. Per spiegarmi meglio: è difficile pensare ad una Rossella O’Hara che non sia Vivien Leigh.
Ci hanno provato a fare un seguito, Rossella, ma è finito nel dimenticatoio.
Però… no. Purtroppo così dicendo ci condanneremmo a non fare mai più certi titoli, o i cosiddetti revival, perché abbiamo ancora fresca la memoria di una grande interpretazione e invece dobbiamo andare avanti. Il mio è un discorso di scelta più o meno indovinata. Il problema di Banderas è che è un figo; non che Mastroianni non lo fosse, ma non riesci a credere che il Contini di Banderas abbia quel tormento interiore che invece è un elemento importante nella storia: Guido è un uomo in crisi, anche se affronta le cose con una certa guasconeria scappando, correndo, inventando bugie, aggrappandosi fino all’ultimo al sesso o all’amore, per riuscire a dare un senso alla propria vita. Banderas un tormento del genere non lo comunicava. Mostrava solo il côté guascone, il lato spavaldo, sensuale, sexy. Per contro, Daniel Day-Lewis nel film è tutto contorto, è un tormento continuo, con quella sigaretta sempre appesa in bocca… Nella sua interpretazione si vede il lato oscuro e non quello guascone, un po’ “giocoso”, tra virgolette, che il personaggio deve avere. Guido deve essere come un pendolo che oscilla dalla disperazione all’allegria sfrenata: è un personaggio bipolare, ma il Contini di Daniel Day-Lewis è solo molto tormentato, troppo tormentato! Manca tutto il lato leggero del personaggio.
Forse è anche troppo “moderno”, nel suo manifestare il tormento?
Mah, sai… anche la decisione di ambientarlo negli anni Sessanta mi lascia perplessa: parlo del film. In teatro non c’è un vincolo d’epoca: può essere uno spettacolo che, se messo su in un certo modo, non ha bisogno di essere collocato in una dimensione temporale precisa, perché è una storia senza tempo, di un uomo in crisi; nel caso specifico la classica crisi dei quarant’anni, che al giorno d’oggi arriva quando se ne hanno cinquanta. È la crisi dell’uomo di successo, dell’artista che ha perso l’ispirazione e che la cerca ovunque: nell’amante, nell’amore idealizzato (Claudia, la diva che ha creato e che gli è sfuggita dalle mani), nella moglie, che alla fine sarà riconosciuta come il grande amore. Dalla versione cinematografica di Marshall onestamente questo non arriva.
Il musical teatrale si era giustamente discostato da 8 1/2. Il film non lo ha fatto e in questo modo il paragone con Fellini arriva in un attimo. Guardi Nine e pensi: «È la brutta versione di 8 1/2». Non è stata una mossa astuta.
Spesso gli autori originali, parlo in generale, accettano che si rimaneggino i loro lavori con risultati poi non sempre positivi. Perché – se hanno voce in capitolo – accettano, secondo te?
Beh, viene un produttore e ti dice: «Voglio fare Nine al cinema. Lo dirigerà Rob Marshall che ha fatto Chicago, Memorie di una geisha… ». Quale autore direbbe di no? C’è anche la lusinga, l’idea che una propria opera rimarrà nel tempo. Perché poi, ammettiamolo, in teatro noi “scriviamo sull’acqua”. Oggi, certo, la cosa è attutita dalla possibilità di fare delle riprese; alcuni spettacoli vengono proiettati nelle sale cinematografiche, ma si ha sempre il pensiero: «Faccio uno spettacolo in teatro, chi lo ricorderà?».
È un peccato che esistano poche riprese complete degli spettacoli, almeno disponibili al pubblico…
Ma il teatro va visto a teatro! Che poi possa farsi un evento, che si faccia una ripresa per proiettarla due giorni al cinema va bene, anche perché sono riprese fatte in un certo modo, magari dal palcoscenico, fornendo così un punto di vista che normalmente lo spettatore in teatro non ha. Però il teatro si deve fare in teatro! Una ripresa, per quanto sia meravigliosa, non è la stessa cosa.
Nine non ha avuto successo al cinema. Ne abbiamo ampiamente parlato. Va anche detto, però, che anche altri film musicali (dei generi più diversi) in Italia non hanno grande seguito. Penso anche a Les Misérables, per esempio. Eppure un tempo i film musicali (l’epoca d’oro di Fred Astaire e Gene Kelly) avevano fortuna anche da noi…
L’Italia veniva da una guerra. La gente aveva bisogno di film di quel tipo. Per questo hanno avuto grande successo. Anche il pubblico di oggi ha desiderio di distrarsi dai problemi e questo è il nostro lavoro: riuscire a dare sollievo alle sofferenze, alle preoccupazioni, allo schifo che molta gente prova per la vita e per le situazioni in cui si trova. Non possiamo gravare sulle persone con film e spettacoli troppo impegnativi. Non dico che si debba andare a teatro a vedere i comici di avanspettacolo: tra parentesi, magari ce ne fossero, di quelli veri! Però bisogna strizzare l’occhio al nazionalpopolare, termine che secondo me è bellissimo: vuol dire riuscire ad arrivare al popolo a livello nazionale! C’è invece il desiderio di fare le cose troppo arzigogolate.
Lo dico sempre: raccontiamo le nostre storie, ciò che è vicino a noi, non andiamo a raccontare argomenti che non conosciamo o conosciamo per sentito dire! Cominciamo a raccontare delle cose del nostro paese, allora sì che avvicineremo il pubblico. Gli spettatori non vanno spaventati. Non dico che dobbiamo diventare un paese autarchico, o parlare solo italiano e dell’Italia, ma se vogliamo riportare un certo tipo di pubblico a teatro, dobbiamo tornare a parlare di noi, dei nostri vizi, delle nostre virtù. Sarebbe veramente curioso avere una versione italiana di Nine. Mi auguro che un giorno Saverio Marconi realizzi questo sogno perché, come ho già detto, è un musical che, fatto in Italia, avrebbe un altro sapore, ritroverebbe il sapore di 8 1/2 senza essere 8 1/2. Perché le peculiarità e i vizi degli italiani, raccontati dagli italiani, hanno tutta un’altra marcia.
Abbiamo un patrimonio narrativo enorme, recuperiamolo e non spaventiamo le persone! Perché vedo troppi spettacoli fatti solo perché andiamo a vederli tra noi per poi dirci, sempre tra noi, quanto sono belli, quanto siamo bravi, quanto cantiamo bene. Quanti siamo ad operare nel settore su tutta la popolazione italiana? Non si possono fare lavori pensando che solo quelli del nostro ambiente verranno a vederli: non è possibile, questo non è teatro! Il teatro nasce per arrivare ad un pubblico che sia il più vasto possibile. E se si vuole arrivare al pubblico bisogna fare delle concessioni nazionalpopolari, non si può partire a spron battuto con testi complicati e cervellotici: rimarranno simpatici esperimenti Off che guarderanno solo i nostri amici di facebook; la gente comune non verrà. Perché non capisce il titolo, non conosce la trama…
O in certi casi non viene nemmeno a sapere che esiste. Ormai passa tutto dalla televisione. Se la televisione non lo reclamizza…
Si può reclamizzare quello che si vuole, ma la gente, che in questo periodo di soldi ne ha pochissimi – e qui ci sarebbe da aprire un lungo capitolo sui prezzi dei biglietti – non andrà. È impossibile chiedere cinquanta euro a biglietto, quando già prima di debuttare, si possono comprare i biglietti tramite alcuni siti a quindici euro. Si abbia il coraggio di fare i biglietti a prezzi popolari, invece di essere costretti a non fare le recite durante la settimana.
Vogliamo che la gente torni a teatro? Bisogna abbassare i prezzi, così come hanno abbassato le paghe agli attori. Ovviamente il discorso non vale se si fa il tutto esaurito tutti i giorni. Ma quando si punta su un titolo sconosciuto, su un cast che non ha i cosiddetti nomi di richiamo – che poi non sempre sono garanzia di incasso – si potrebbero adottare strategie del genere.
Il modo di tenere vivo il teatro è fare ragionamenti al passo con i tempi. Perché se si ha un prodotto valido – e molto spesso sono prodotti validi, quelli che faticano a fare botteghino – seguendo una politica del genere si potrebbe entrare in competizione con il cinema. Le persone tornerebbero, porterebbero gli amici. Bisogna fare sacrifici costruttivi.
Una volta avevo anche suggerito ad un Assessore alla cultura di istituire una linea notturna dell’Atac, che toccasse non dico tutti i teatri, ma la maggior parte, visto che molti sono raggruppati in alcune zone di Roma: dalle venti all’una, il bus del teatro.
Inoltre, se la gente risparmiasse sul biglietto sarebbe, per esempio, anche più invogliata a spendere per acquistare il gadget, il CD dello spettacolo, a consumare al bar, al bistrot del teatro: i soldi rientrerebbero in altre vie. Quando avrò un teatro mio… (ride, NdR).