Il primo step è superato. Ora è tutto in discesa. Grande il rispetto che trapela per l’opera di Mann Izawa e Yumiko Igarashi.
di Ilaria Faraoni – Foto Anna Rita Barbarossa e Laura Fazzi
Dal 2009, Claudio Crocetti, che ha organizzato tutta la “macchina” ed ha adattato la storia, ha iniziato a pensare e poi a lottare per realizzare un sogno, mettere in scena il musical su Lady Georgie, il manga (fumetto giapponese) del 1983 da lui tanto amato, come del resto è amato da altri milioni di persone nel mondo, grazie anche all’anime (cartone animato) messo in onda per la prima volta in Italia nel 1984.
La storia è, per chi non la conoscesse, ambientata nella seconda metà dell’800 tra l’Australia, colonia penale inglese e l’Inghilterra e narra le vicende di una giovane ragazza, Georgie, che vive in una sorta di fattoria, come figlia dei Buttman, circondata dall’astio di quella che crede essere sua madre e dall’affetto di quelli che crede essere i suoi fratelli: Abel e Arthur. Ma Georgie è in realtà la figlia di un conte inglese, deportato in Australia per un’accusa infondata. L’incontro e l’innamoramento con il nobile Lowell danno inizio allo sconvolgimento della vita della giovane, che parte per l’Inghilterra alla ricerca delle sue origini.
Veniamo allo spettacolo, presentato da Senso Unico Alternato in collaborazione con Avis comunale Roma al Teatro Orione, nella capitale. Quando si è davanti ad uno spettacolo inedito, si sa, le aspettative sono numerose. Nel caso specifico, erano ancora più alte perché il pubblico da non deludere era doppio: quello degli appassionati del genere musical e quello degli appassionati del mondo del fumetto e dell’animazione giapponese che, chi non è dell’ambiente, non può immaginare quanto sia vasto, preparato, entusiasta e puntiglioso.
Partiamo con due premesse:
1) Chi scrive questa recensione fa parte di entrambi i tipi di pubblico, essendo da un lato amante e collezionista fin da bambina di film musicali e musical (oltre a scriverne da diversi anni in qualità di giornalista) e dall’altro patita e collezionista di manga, anime e modellismo di settore.
2) Chi scrive è stata disturbata per quasi tutto il tempo da alcuni spettatori (un gruppetto esiguo, ma “volenteroso”) preso a scambiarsi battute e a messaggiare con gli smartphone. Perdonate dunque se qualche particolare dello spettacolo può essere sfuggito. Fortunatamente il resto del pubblico era attento e preso dalla bravura degli interpreti.
Annotiamo subito il gradimento del pubblico perché qual era il rischio maggiore, quello più temuto, per una operazione del genere? Quello che non si rispettassero la storia ed i personaggi. Troppo radicato il vizio di mettere le mani su opere altrui e rimaneggiarle lasciandone a volte quasi solo il titolo.
E invece la prima lode, grandissima, da fare a Claudio Crocetti, al regista e coreografo Marcello Sindici, ed agli autori Tiziano Barbafiera (musiche) e Diego Ribechini (libretto e liriche) è proprio per il profondo rispetto che hanno avuto per la storia di Mann Izawa (con il quale Crocetti ha definito tutti i dettagli per ottenere i diritti) e per i caratteri dei protagonisti che sono stati ricostruiti così come dovevano essere. Il compito era ancora più arduo perché quando si è davanti ad un racconto a puntate, l’affezione per i personaggi cresce, li si conosce nelle varie sfaccettature e quei personaggi cominciano a vivere di vita propria, tanto più se non c’è il filtro di un attore che li interpreta: in qualche modo esistono, così come li si vede, usciti in questo caso dalla meravigliosa mano di Yumiko Igarashi (chi non conosce almeno la sua Candy Candy?) e non possono essere altro che se stessi, per sempre, come delle persone vere.
Doveroso sottolineare ancora una volta che il musical si rifà al manga e non all’anime, il cui finale è molto diverso. Certo, condensare i cinque tankōbon (in Italia sette volumetti o quattro, a seconda delle edizioni) in uno spettacolo di due ore e mezza – o anche qualcosa in più – è un lavoro non indifferente ed in alcuni punti è riuscito meglio, in altri peggio.
Il primo tempo, ad esempio, è sembrato scorrere in maniera più comprensibile. Tutte le scene che sono diventate negli anni veri e propri cult nell’immaginario collettivo, sono state riproposte alla lettera, per la gioia degli appassionati di Georgie. Nel prosieguo, non siamo sicuri che chi non conoscesse già bene la storia abbia potuto comprenderla in tutti i suoi punti. Alcuni passaggi sono stati troppo affrettati e andrebbero rivisti, magari tagliando alcune parti che sono sembrate inutili, come quella che riguarda il pappagallo di Abel, Deegeery Doo, che qui è stato introdotto come personaggio vero e proprio: un grande pupazzo animato a vista da un attore, che dà consigli al padrone e canta addirittura una canzone. Non se ne capisce la funzione se non quella di allungare inutilmente la storia togliendo spazio a cose più importanti e oltretutto non si comprende il perché lo si sia voluto far parlare in romanesco. Un inserimento del genere poi, stona con lo stile di tutta la narrazione che, lungi dall’essere stata scritta e pensata per bambini, è molto adulta.
Tra i momenti da approfondire meglio c’è l’incontro chiave, sulla nave diretta in Inghilterra, tra Georgie ed il primo punto di contatto con le sue origini, il dottor Skiffins la cui morte, tra l’altro, è risultata inspiegabilmente quasi comica.
Qualche altra scena, anche se sempre nell’estremo rispetto di Izawa, è stata cambiata o accorpata ad un’altra successiva per esigenze teatrali o di tempo. In alcuni casi non ne sono derivati effetti rilevanti, in altri si perde qualcosa di importante. Pensiamo all’omissione del tentato suicidio di Arthur, o pensiamo alla morte di mamma Buttman, che nel musical avviene contestualmente alla fuga di Georgie (che ha appena scoperto la verità sulle sue origini) e davanti ai due fratelli, che poi partono all’inseguimento della “sorella”. Nell’originale, la morte avviene tempo dopo, quando il solo Abel è partito, mentre Arthur è rimasto accanto alla madre, nonostante la disapprovazione per il suo comportamento e l’amore per Georgie. Nel manga si connotavano così i due caratteri opposti dei fratelli: quello di Arthur, dolce, sempre un passo indietro, pronto a sacrificare la propria felicità per quella degli altri; quello di Abel, impetuoso, un ragazzo che non vuole lasciare che qualcosa si metta in mezzo sulla strada per il raggiungimento della propria felicità, salvo poi essere pronto al sacrificio più grande.
Della regia di Sindici abbiamo apprezzato in particolare alcune soluzioni sceniche, come la crescita di Georgie che da bambina diventa, a vista, adulta; l’uso del “fermo immagine/stop del tempo” che permetteal solo personaggio in questione di esprimere i proprio sentimenti; il tango rivelatore della identità di Georgie agli occhi di Jessica, la gelosa e malvagia fidanzata di Abel.
Molto veri e “fisici” inoltre, i momenti di zuffa/lotta/inseguimento che troppe volte in altre occasioni notiamo invece molto finti. Merito sicuramente della regia e degli interpreti.
Veniamo ora alle scene, realizzate da BYAlenkia – Architetto Plastici Riccardo Crocetti – Video Mapping Tabula Natural Interface sas: Marcello Sindici, in conferenza stampa, ha tenuto a precisare che per ora siamo davanti ad un primo step di allestimento. Del resto lo sforzo produttivo è tutto sulle personali spalle di Crocetti, che è statosostenuto fin dall’inizio dall’Avis comunale Roma. Eppure già convince l’idea scenografica centrale: tutti gli elementi, a cominciare dall’arco di proscenio per continuare con gli elementi scenici reali, sono disegnati o dipinti in bianco e nero, per richiamare le chine tipiche di un manga. Le illustrazioni sull’arco di proscenio, poi, con i koala e i canguri, sono addirittura parte delle tavole originali della Igarashi: una citazione molto, molto apprezzata. La particolarità di un allestimento scenografico del genere è da tenere in considerazione anche per le future riprese. Convincente anche l’uso delle proiezioni animate, sempre in stile grafico in bianco e nero, che creano particolari effetti (come quello presente in un duetto tra Georgie e Lowell). Della sorta di telo che viene calato, per cambiare scena quando non è usato per le animazioni, si potrebbe invece fare a meno, lasciando i cambi a vista e rendendoli (come spesso si apprezza) momenti di spettacolo.
Piacevoli e coinvolgenti le musiche di Tiziano Barbafiera molte delle quali studiate, grazie alle liriche di Ribechini, per portare avanti la storia: alcuni passaggi narrativi importanti, infatti, sono descritti esclusivamente dai brani musicali, così come dovrebbe sempre avvenire in un vero musical: complimenti quindi, per questo, a tutto il team creativo.
Il cast è di grande qualità, composto da alcuni punti di riferimento del teatro musicale italiano cui si uniscono giovani provenienti dall’Accademia internazionale del musical e da Professione Spettacolo. Partiamo subito da Brunella Platania, che è stata anche il braccio destro registico di Sindici (supervisione alla stage performance), nonché vocal coach. Non per niente l’artista ha dominato, con perfetto controllo della voce, anche la musica un po’ troppo alta. La sua interpretazione di Mary Buttman, senza snaturare il personaggio, ha regalato sfumature più profonde, che nel manga erano solo accennate. Qualsiasi ruolo tocchi, la Platania lo accende di una luce e di una intensità che strapazzano l’anima ed il tempo in cui è in scena sembra sempre troppo poco, la si vorrebbe ancora e ancora di più, tanto più che in Georgie il suo personaggio muore quasi all’inizio: all’intervallo, tra le opinioni che si scambiano solitamente tra amici e colleghi, non è mancato il commento: «Peccato che la sua parte sia già finita!».
Grande prova quella dei due fratelli Buttman, Dario Inserra (Arthur) ed Enrico D’Amore (Abel).
Il primo, Inserra, è fra tutti quello che probabilmente è anche fisicamente più aderente al corrispettivo disegnato o animato, ed è anche una rivelazione: la sua interpretazione restituisce l’Arthur che tutti conosciamo arricchito da un’ottima vocalità. Prova attoriale superata a pieni voti, anche nel difficile momento della prigionia e nella resa dello stato di allucinazioni in cui versa il suo personaggio, a causa degli effetti della droga che è costretto ad assumere.
Il secondo, Enrico D’Amore, è una conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, per chi il mondo del teatro musicale lo frequenta. È stato però una vera rivelazione per gli appassionati del fumetto giapponese, che lo hanno scoperto in questa occasione e lo hanno riempito di lodi e apprezzamenti. Il suo Abel non li ha delusi e, si noti, Abel è il personaggio di Georgie che molti preferiscono in assoluto, quindi il compito era doppiamente difficile. Doppia quindi la vittoria di D’Amore, che porta sempre sul palco la verità delle sue interpretazioni, che gli restano addosso anche fuori scena, se lo si incontra dietro le quinte a fine spettacolo. La sua perfetta tecnica vocale, inoltre, lo ha portato ad essere chiamato ad affiancare la Platania come vocal coach del cast.
Flavio Gismondi è un Lowell molto credibile, con il giusto aplomb: un’altra certezza, anche se la sua parte ha sofferto di qualche taglio di troppo non permettendo ad un performer come Gismondi di far venire fuori altre sfumature molto importanti della personalità del giovane nobile inglese. Speriamo che il suo personaggio venga un po’ ampliato.
Prima di passare alla protagonista un apprezzamento speciale va poi a Maurizio Di Maio, un artista che da un ruolo all’altro riesce ad essere molto diverso da se stesso, qualità per nulla scontata. Quella del suo Irwin Dangering – dati anche il ruolo in sé e la costruzione scenografica e coreografica dei quadri che lo vedono protagonista – è una delle interpretazioni che più colpiscono in Georgie. E chi meglio di un sopranista come lui poteva rendere così bene certe sfumature vocali che lungi dall’essere esclusivamente finalizzate all’aspetto musicale, rendono più concreta la psicologia del personaggio?
Per ultimo abbiamo voluto tenere la protagonista, Claudia Cecchini alias Georgie, il ruolo che più faceva paura vedere in scena, nelle riflessioni del “prima della prima”. Claudia è stata molto brava ad entrare nello spirito del personaggio: e sì, lo si può dire, è stata una Georgie molto credibile. Purtroppo il volume del microfono troppo alto non l’ha aiutata nelle scene di pathos più concitato. Il suggerimento è quello di trovare, nel recitato, sfumature di voce più intimistiche, seppur drammatiche, e un po’ più vocalmente dosate.
Molto breve il cameo della sempre brava Elisabetta Tulli, che come madre naturale di Georgie, muore purtroppo a inizio spettacolo.
Per motivi di spazio non possiamo approfondire oltre tutte le singole interpretazioni: non resta che lodare tutto il cast, a seconda delle rispettive competenze e percorsi artistici, che ci ha messo grande energia: Paolo Barillari, Claudio Zanelli, Rosy Messina, Stefania Paternò, Nico Di Crescenzo, Stefano Colli, Massimiliano Lombardi, Arianna Milani, Roberto Fazioli, Melani Di Giorgio, Pietro Di Natale e le piccole Silvia e Giulia Guerra.
Il coinvolgente ensemble: Serena Mastrosimone, Cristian Cesinaro, Linda Gorini, Raffaele Oliva, Isabel Pelagatti, Sergio Nigro, Elena Malisani, Manuel Bartolotto, Maria Izzo, Simone Giovannini
Molto entusiasmo in sala: applausi scroscianti hanno salutato infatti il debutto di Georgie. Nota di colore: tra il pubblico, anche due cosplayers che impersonavano Lady Oscar e André.
Assistente alla regia Valentina Naselli; assistente alle coreografie Serena Mastrosimone.
I costumi, molto ricchi, sono di Arianna Sartoria Teatrale; qualche scelta è apparsa però strana anche se l’impressione fa più colpo in foto che sulla scena: un esempio su tutti l’abbigliamento scelto per Abel che sembra più seicentesco che di fine ‘800.
Per gli altri credits, le note di regia e gli approfondimenti rimandiamo al servizio sulla presentazione in conferenza stampa: cliccare QUI.
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