The last five years: la scelta coraggiosa dello Stabile Sloveno
di Erica Culiat
Una scelta inconsueta. Di sicuro coraggiosa. Il Teatro Stabile Sloveno di Trieste ha deciso invece di ospitare un musical, di produrlo assieme alla Glasbena matica, il centro musicale sloveno, e il Teatro nazionale di Nova Gorica. La scelta si è appuntata su Jason Robert Brown, autore statunitense raffinato, non di facile approccio, vincitore di vari Tony e Drama Desk e sul suo secondo musical The Last Five Years (2002) che tradotto in sloveno fa Zadnjih Pet Let.
Una produzione a chilometri zero, parafrasando il comunicato: la regista, Jasmin Kovic è di Gorizia, i due interpreti sono triestini, Danijel Malalan (Jamie), Patrizia Jurincic Finzgar (Cathy), ma anche il direttore musicale, Andrejka Mozina e i musicisti arrivano da diverse parti del Friuli Venezia Giulia.
Musical da camera, allestito nella Sala del Ridotto del teatro, cento posti circa, che ha permesso al pubblico di stare a tu per tu con i protagonisti, “entrando” nella storia, tutta cantata, in parte autobiografica dell’autore.
Originale è l’impianto drammaturgico: attraverso le canzoni che vanno sia a ritroso nel tempo che avanti, si sgomitolano i ricordi degli ultimi cinque anni della relazione sentimentale tra Cathy e Jamie, visti sotto i loro due opposti punti di vista. Cathy inizia raccontando la fine del rapporto per arrivare all’inizio, mentre Jamie procede in maniera esattamente contraria.
Gli attori/cantanti, la regista li ha fatti sempre stare in scena, assieme, ma mentre uno canta le sue ragioni, l’altro è impegnato a fare qualcosa d’altro. Sono lì, si sfiorano, si muovono in uno spazio piccolo, semplice, ma d’impatto, firmato da Giulia Bellè (suoi anche i costumi), ma sono autonomi, anzi è come se fossero due fantasmi, perché sono scollati dal punto di vista temporale. Monologano con il pubblico, escludendo il soggetto del loro monologo e questo accresce il senso della distanza, il senso di solitudine che tante volte si insinua nella coppia.
Ma l’altalena emotiva, la fine del rapporto, il tradimento di lui, e l’inizio, gioioso, trascinante, ci fa riflettere sugli strani equilibri che intercorrono in una coppia.
Perché il rapporto è fallito? Cathy vuole affermarsi come attrice, ma la strada è tutta in salita, Jamie, invece, è uno scrittore di origine ebraica che sforna best-seller senza mai sbagliare un colpo. Si conoscono, si innamorano, si sposano, ma i fallimenti da una parte e i successi dall’altro in campo professionale li allontanano. Se già costruire e mantenere nel tempo un rapporto amoroso è una gara a ostacoli, la situazione si ingarbuglia anche di più quando i protagonisti sono degli artisti e magari uno dei due non ottiene quel successo che crede di meritare e lo vede riflesso nell’altro. Sogni che si avverano da una parte, sogni che si frantumano dall’altra. Jamie non può rinunciare ai suoi sogni per le paranoie della moglie.
Lo spettacolo aveva avuto a suo tempo ottime recensioni, aveva vinto due Drama Desk per la miglior colonna sonora e le migliori parole, insomma era stato salutato come una boccata d’aria fresca. Ma parliamo degli Stati Uniti e poi, quando è stato fatto in Europa, di città anglosassoni.
In Italia le cose sono un po’ diverse. Nove anni fa lo stesso spettacolo era stato inserito nei Pomeriggi musicali al Rossetti dall’Associazione Internazionale dell’Operetta con Francesca Taverni e Antonello Angiolillo. Una piccola chicca che, come in tempi più recenti, pensiamo a Next to Normal (leggi qui la nostra recensione) hanno difficoltà a essere inseriti nelle stagioni dei grandi teatri. Perché? Non si rischia e questo crea anche un appiattimento del gusto. Si sa che il pubblico spende su titoli sicuri e si riduce il rischio d’impresa.
La dirigenza dello Sloveno invece ha bypassato questo aspetto, ha deciso di non strizzare l’occhio a una produzione più commerciale e ha fatto la sua scelta. Onore al merito e forse se lo poteva permettere.
The last five years non è di facile ascolto, ricorda Stephen Sondheim, diciamo che non esci da teatro fischiettando un qualche motivo. I brani sono per i protagonisti difficili da cantare. Non a caso, ma eravamo a un’anteprima, quindi con tutta l’emozione e la necessità di rodare una partitura complessa, delle incertezze ci sono state sulla parte vocale, soprattutto all’inizio.
Di sicuro i pezzi musicali più belli li ha Jamie (da Shiksa Goddess a The Schmuel Song a Nobody Needs to Know) e Malalan con quel suo sorriso sornione conquista tutti. Diciamo che si tiene più per lui che per lei (ricordiamo comunque che l’autore è un uomo e la figura femminile non fa proprio una bella figura, infatti la moglie di Brown aveva minacciato di fare causa se alcune parti non fossero state cambiate).
La Jurincic è più credibile nella parte drammatica, quando esterna la sua fragilità e la sua vulnerabilità. Per lei, affermare il suo personaggio, è più difficoltoso proprio per come è costruito nel testo.
Forse, sempre a causa della prima assoluta, nel finale dove si intrecciano la fine e l’inizio della storia e dove i due protagonisti cantano assieme, abbiamo ravvisato poca alchimia tra di loro.
Il Ridotto è stata la scelta ottimale per raccontare questa storia di coppia in cui ogni spettatore può trovare un pezzettino della propria storia personale. Perfetta l’esecuzione della partitura con i musicisti in scena – li citiamo tutti, Sebastiano Frattini, Irene Ferro-Casagande, Mariano Bulligan, Matteo Bognolo, Luca Emanuele Amatruda e la stessa Andrejka Mozina-.
Una citazione a parte per Janez Usenik che dall’inglese ha tradotto in sloveno e a Tanja Sternad per la traduzione in italiano e l’adattamento dei sovratititoli.
Applausi comunque meritati sia per i protagonisti che per l’operazione in sé.