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LUCIO LEONE’S SWANSONG

Lucio Leone 21 Giugno 2018 4 min read

lucio leone

di Lucio Leone

Ho appena compiuto gli anni e credo che la vita sia fatta di svolte, di cambiamenti. Chi, come me, ha “qualche” primavera sulle spalle (e magari giusto una elegante spolverata di inverno sulle tempie), forse si ricorderà la puntata di Saranno Famosi in cui la professoressa Sherwood leggeva uno dei poemi più famosi di Robert Frost, “La strada non presa“.

“Due strade divergevano in un bosco ingiallito“… eh sì, credo davvero che la vita, non solo quella di tutti i giorni ma anche quella professionale, sia fatta di bivi, di scelte, che fanno la differenza.

Negli ultimi anni mi avete trovato su questa e altre testate essenzialmente come firma che si occupava di critica teatrale. Voglio essere brutalmente onesto: se la Natura non avesse deciso di darmi due piedi sinistri e una voce potente come il rumore dell’acqua che bolle non avrei scritto una riga, sarei salito sul palco e mi sarei candidato per tutti i più bei ruoli che la mente umana abbia concepito per quel meraviglioso contenitore che chiamiamo “musical” (e per la cronaca, sia messo agli atti che se le cose fossero state per l’appunto diverse sarei stato un fantastico King Herod, un incredibile Frank-N-Furter e col cavolo che Christine se ne sarebbe andata con quello sciacquetto di Raoul avendo me come suo Phantom). Stando così le cose ho fatto invece quello che potevo e sapevo cercando comunque di essere il più possibile utile alla causa. Ma, e volendo ricorrere a un eufemismo, diciamo che il tentare di usare un metodo e fissare degli standard qualitativi nelle mie recensioni non sempre è stato universalmente apprezzato. Dura essere il “wicked critic” se il panorama del settore in cui canti il tuo “No good deed” è quello di una landa zuccherosa che renderebbe diabetica persino Glinda in cui tutto è pazzesco-meraviglioso-emozionante e il colore dominante è il rosa confetto.

Oh, è stato anche piuttosto divertente, per certi versi, essere man mano accusato di innumerevoli “nefandezze” (a proposito, no: non sono io Carlo Mati; no: non mi hanno mai pagato per una recensione né con soldi né in natura; sostenere che scriva male di Tizio per favorire Caio è chiaramente una conferma empirica alla teoria attribuita ad Einstein per cui l’idrogeno è solo il secondo elemento più diffuso nell’Universo e sì: ho sempre e soltanto scritto quello che pensavo…), e del resto ritorsioni, ostracizzazioni, malignità da sopportare le ho considerate parte del prezzo da pagare tanto quanto il dover costantemente studiare, documentarmi, affinare riferimenti e ampliare il mio bagaglio di esperienza.

Sono particolarmente contento che il mio “canto del cigno” come critico sia stato Outing, un allestimento che mi fa ben sperare per il futuro delle piccole produzioni off, ma che ci crediate o no, il semplice potermi occupare di teatro musicale, offrendo un punto di vista personale (e spero anche responsabile) sullo stato dell’arte del nostro settore, ha fatto sì che di questo lavoro io ne abbia amato ogni singolo momento. Badilate di merda – e non nel senso di augurio teatrale – comprese.

Però… però… Però, come dicevo, nella vita si incontrano bivi, si fanno scelte e oggi ho deciso di appendere quantomeno temporaneamente la penna da critico al chiodo, togliere il cerone verde e ritornare a fare il semplice giornalista, mestiere che peraltro mi appartiene da quasi trent’anni. Grazie al direttore Paolo Vitale che ha accettato l’idea, curerò una rubrica sul teatro che, nei miei progetti, dovrebbe essere un misto tra l’Amaca di Serra e le Storie Maledette della Leosini (anche se probabilmente si tratta di un’idea un po’ ambiziosa: non sono sicuro sia possibile farlo senza quei suoi ineffabili tailleurini e la cuofana cotonata).

Parallelamente continuerò, per passione e con passione, dove, quando e come posso, a insegnare Storia del Musical, perché non si può ragionevolmente occuparsi di nulla in questo settore se non si sa chi erano Ethel e Irving, Remigio e Delia non più di come si possa essere un medico se non sai cosa sono lo scafoide, lo sfenoide o l’astragalo. Qualunque cosa siano.
E fortunatamente non faccio il medico perché ho evidentemente sparato ossa a caso.

Tutto questo però mi rendo conto non spiegherebbe il perché di questa scelta, e prima che si facciano speculazioni o illazioni sulla questione fatemi solo dire che il conflitto d’interessi, per chi ha un minimo di coscienza, è una brutta bestia dalla quale non si può scappare. Chi sale sul palco ha come modello Barbra, Idina, o Hugh o Aaron, e io farò lo stesso, solo prendendo ad esempio Arthur (Miller), Bertolt (Brecht) e George Bernard (serve dirlo? Shaw) che, dopo essere stati critici teatrali, sono passati a fare gli autori, attività che ho deciso di intraprendere sulla loro falsariga e che ovviamente è in conflitto con quella di recensore di spettacoli altrui (nota: pensando ai nomi che ho evocato qualcuno dirà “ammazza, questo punta in alto”. Embè? Idina, Barbra eccetera non sono forse a quota ionosfera pure loro? E che male c’è se voglio questo per me? Sì, esatto: cit. Marilyn in Gentlemen prefer blondes, e di nuovo esatto: il tutto va letto in chiave ironica. Tranne la questione di mettere in scena mie commedie, quello è proprio vero).

Il dove-come-quando non è questo il luogo o il contenitore per dirlo (di nuovo il conflitto di interessi), ma ci sarà, spero, occasione per farlo nel contesto adatto.

Però una cosa ci tenevo a dirla. Grazie di tutto.

Curtain up! Light the lights!
Il vento è cambiato ma… I’m still here! A prestissimo.

Tags: lucio leone

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